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Wolf, ragazzo partigiano fucilato a Udine, 1944

Aggiornamento: 16 ago 2020

Ecco la storia di Antonio Friz, studente di Udine Sud e partigiano ragazzino. Ho trovato una sua fotografia in compagnia di un altro partigiano ragazzino Bepi Tomat, detto Bocjate (a destra nell'immagine), nell’Archivio Osoppo della Resistenza in Friuli, curato da Mons. Aldo Moretti, Cartella Z – Fototeca, foto n. 71.



Il 10 dicembre 1944 Friz fu fucilato, assieme ad altri tre partigiani nel cortile del Palazzo di giustizia, in Via Treppo, più precisamente “in Vie de Roe”, ossia al civico n. 30 di Via Verdi, dove scorre la roggia. Sul muro del tribunale fu posta una lapide (vedi la foto sotto), che ricorda i quattro partigiani lì fucilati, uno dei quali, tuttavia, era una spia dei servizi segreti delle Waffen SS. Antonio Friz era nato a Pontebba il 6 febbraio 1926, da Roberto Friz e Maria Rizzi. Aveva sei fratelli: Costantino, Enrico, Anna, Giuseppe, Beniamino e Rita. Era uno studente, aveva frequentato la seconda liceo scientifico al “Marinelli” e subito dopo l’8 settembre del 1943 partecipò al cosiddetto Battaglione studenti, che stampava un suo giornale clandestino «La libertà», diffuso nelle scuole. Poi nell’estate Tonino era salito in montagna a fare il partigiano col fazzoletto verde delle Brigate Osoppo. Nel 1944 la sua famiglia risiedeva al numero 16 di Via Medici, lungo Viale Palmanova.

La sera del 9 dicembre 1944 lui e altri suoi compagni del Battaglione Guastatori delle formazioni partigiane Osoppo-Friuli erano scesi in città per compiere un’azione militare molto complessa, d’intesa anche con gli angloamericani che avrebbero bombardato la periferia per creare confusione tra i tedeschi e i fascisti. L’obiettivo dei partigiani guastatori era la stazione. Si trattava di far saltare il deposito delle locomotive e la piattaforma girevole, indispensabile per le manovre dei treni, poiché era stato segnalato il treno blindato con cui i nazisti colpivano gli stavoli dei partigiani sulle colline a cannonate. Contemporaneamente i partigiani volevano liberare i prigionieri politici nel carcere di via Spalato, azione rischiosa e non priva di contraccolpi nazisti. Purtroppo qualcuno aveva fatto la spia e i tedeschi stavano attendendo i guastatori partigiani al deposito locomotive, come fa il gatto col topo. Wolf fu catturato, condotto in tribunale e condannato a morte insieme agli altri tre che si trovavano lì da prima e che quindi non avevano partecipato a quell’azione del deposito locomotive, uno dei quali era una spia. Il giorno dopo furono tutti fucilati.

L’ultima lettera di Antonio Friz alla famiglia dice così: “Carissimi genitori e fratelli, quando riceverete questa io sarò morto. Non piangete, ma siate forti e pregate. Perdonate tutti i dispiaceri che vi ho recato ma ricordatevi di vostro figlio che sempre vi ha amato. Ricevete tutti l’ultimo forte abbraccio. Vostro per sempre. Toni”.

C’è un altro fatto riguardo a Tonino Friz, di cui sono venuto a conoscenza il 24 marzo 2010, da parte del professor Michele Piva, già insegnante della scuola media di avviamento “P. Valussi” di Via Crispi a Udine. Nel 1959 nacque in città, nell’ambito della scuola “Valussi”, un nuovo Istituto Professionale di Stato per il Commercio, che poi fu intitolato a Stringher. Dovendo attribuire il nome alla nuova scuola il preside, Adelchi Nuciforo, chiese ai vari professori di suggerirgli qualche nome valido. Oltre a quello di Bonaldo Stringher, primo governatore della Banca d’Italia, gli fu fatto pure il nome di Antonio Friz, giovane partigiano udinese, nome di battaglia Wolf. Fu scelto il nome di Stringher, era troppo presto intitolare una scuola a un partigiano. Nel 1974 venne l’Istituto “Cecilia Deganutti”, dedicato alla partigiana massacrata alla Risiera di San Sabba (TS).



Abitavo in Via delle Fornaci. Me la ricordo, la signora Maria Friz, da quando ero bambino, verso il 1958-1959. Assieme a mia madre si andava verso il centro della città, per qualche spesa, lasciandoci alle spalle i platani del Viale Palmanova. Camminando lungo il cavalcavia, che da Viale Palmanova conduce in Porta Aquileia, si giunge al piazzale antistante, che fu intitolato a Gabriele d’Annunzio (vedi la cartolina degli anni Trenta). Sui marciapiedi del cavalcavia, fiancheggiati da alberi bagolari, ci capitava spesso di incontrare la signora Friz, che scendeva per andare a fare la spesa nel negozio di coloniali di Kratcki e al panificio De Luisa, in Viale Palmanova. La bottega di cereali e farine di Antonio Kratcki, dove oggi c’è il bar Manhattan, era attiva anche nel 1910; vendeva all’ingrosso vino e oli. La Friz abitava nelle case dei Ferrovieri, quelle che si vedono dal cavalcavia.

“È la mamma di Tonino, un povero giovane ammazzato dai tedescacci” – mi diceva mia madre, dopo aver salutato la signora. Per mia madre l’unico “col viso de bon”, oltre a Tonino Friz, era don Adelindo Fachin, parroco fresco di nomina nella neonata parrocchia di San Pio X. Con la signora Friz erano sempre le stesse identiche parole. Lei faceva sempre le stesse identiche meste espressioni del volto non solo con me, con mia madre, ma anche con le altre signore del quartiere. Era come un rito collettivo. La signora Friz si prendeva tutti i complimenti possibili ed immaginabili per quel povero ragazzo che le avevano ucciso in quella maniera e a quell’età. Qualche volta la signora Friz piangeva. Le altre donne, compresa mia madre, la consolavano con parole di circostanza e con carezze sulle spalle, raramente con qualche abbraccio.



Contributo dal web

Dopo aver letto l’articolo presente Giuliano Rui, di Pontebba (UD), compaesano di Antonio Friz, il 27 aprile 2020, ha scritto su Facebook le seguenti parole, citando una fonte edita.

“A Tonino Friz è dedicata una via a Pontebba – ha scritto Giuliano Rui – tratto da Un cristiano sul serio tra i ferrovieri, un opuscoletto del 1970 delle edizioni Laurenziane: Anche per Roberto [Friz] venne l'ora della chiamata alla leva. Aggregato in un reggimento d'artiglieria di campagna, gli fu dato l'incarico di maniscalco di batteria.

Durante la Grande guerra lavorò in una officina, allestita in una catapecchia a Ronchi di Monfalcone. Ogni tanto, lasciava incudine e martello, e si prestava al servizio di vettovagliamento, lungo l'insidiata valle di Tolmino. Dopo cinque anni di servizio militare, nella ritirata di Caporetto (1917) raggiunse e attraversò il Piave in groppa alla Bibba, una cavalla che, gravemente ferita a una zampa, era stata curata da lui, il buon Friz.

Nell'aprile 1920, dopo un corso d'istruzione a Trieste per l'abilitazione all'esercizio di conducente di locomotive a vapore, Roberto sostenne gli esami. Il presidente della commissione esaminatrice poté dirgli, udite le competenti risposte alle varie interrogazioni:

— Finalmente trovo uno preparato a dovere!

A Chiusaforte, nel deposito di macchine, Roberto incominciò a prestarsi nei servizi di spinta ai treni, che salivano verso l'Austria.

Fu a Chiusaforte che incontrò una ragazza, Maria Rizzi. Questa tanto gli piacque, per invidiabili doti, che le chiese di sposarla.

L'8 maggio 1922, Roberto celebrò con immensa gioia il suo matrimonio e fissò domicilio a Pontebba, continuando lo stesso lavoro di ferroviere.

Il 10 dicembre 1944 gli fu tragicamente tolto un figlio, Tonino, sui diciotto anni. Patriota combattente, Tonino si era associato ad alcuni compagni per far saltare in aria il deposito ferroviario di Udine e i locomotori che conteneva. Avrebbe così evitato, senza spargimento di sangue ed evitando rappresaglie dei Tedeschi, il bombardamento della città e le centinaia di morti e feriti che, poi, dopo il fallimento dell'azione, si ebbero.

Erano le ore 20 del 9 dicembre 1944. Mentre apparecchi alleati fingevano un bombardamento con il lancio di razzi illuminanti, Tonino stava tra le rotaie, in attesa di compiere la sua coraggiosa missione. Inaspettatamente si vide dinanzi due soldati tedeschi, armati sino ai denti. Catturato, fece credere di essere solo, per dar modo ai suoi compagni di ritirarsi. Messo nelle mani delle SS di via Cairoli, subì sevizie: si voleva che rivelasse i nomi dei partigiani che lo accompagnavano e di quelli che combattevano con lui alla macchia. Tonino non parlò.

Nel tribunale di via Treppo fu processato e, assieme ad altri tre ostaggi, venne condannato a morte. Nonostante domande di grazia, inoltrate da più personalità, Tonino fu posto di fronte al plotone di esecuzione.

Con coraggio, attinto anche dai sacramenti appena ricevuti della confessione e del viatico, Tonino attese la morte. Colpito alla fronte, cadde, pregando. Erano le ore 17,15 del 10 dicembre 1944. [Fin qui l’opuscolo citato].

Roberto Friz morì nei primi anni ‘60 dopo una vita di lavoro, di lutti e di carità verso il prossimo”.


Quella lapide

Riguardo alla lapide di via Verdi a Udine, su richiesta pubblicata in Facebook il 3.5.2020 da Maurizio Corrado e da Giuseppe D’Anzul, aggiungo le seguenti parole: la spia è tale Iacuzzi, come ha scritto Bruno Bonetti nel suo libro intitolato Manlio Tamburlini e l’albergo nazionale di Udine, Pasian di Prato (UD), L’Orto della Cultura, 2017. Tale Iacuzzi, già al servizio di sicurezza della Sicherheitsdienst, SD germanica a Udine, in quanto doppiogiochista passa alle formazioni partigiane. Dal marzo 1944 G. Iacuzzi è a capo dell’Ufficio SD 1724 di via Lovaria 4, che poi cambia sede in via Montenero 4, disponendo di oltre 15 uomini alle sue dipendenze ed essendo in contatto con altri servizi segreti (Bonetti, pp. 68-77). Qualcuno dice che la lapide sarebbe da aggiornare... Bonetti cita la sentenza del Tribunale n. 88/1946, rep. gen. 52, custodita all'Archivio di Stato di Udine.

Cenni bibliografici

- Bruno Bonetti, Manlio Tamburlini e l’albergo nazionale di Udine, Pasian di Prato (UD), L’Orto della Cultura, 2017.

- Don Lino (Aldo Moretti), “Il diciottenne Tonino Friz sacrificatosi per una nobile causa”, numero unico «Baldasseria ’84».

- Roberto Friz terziario francescano. Un cristiano sul serio tra i ferrovieri, Padova, edizioni Laurenziane, 1970.

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Servizio giornalistico di Elio Varutti. Ricerche e Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Contributi di Maurizio Corrado, Giuseppe D’Anzul Giuliano Rui. Fotografie da collezioni pubbliche o di Elio Varutti.

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