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Immagine del redattoreevarutti

Udine, com’era un casale di Baldasseria nei secoli scorsi

Aggiornamento: 16 ago 2020

È una puntuale descrizione di una visita effettuata dal maestro Alfredo Orzan a un vecchio casale di Baldasseria. L’articolo, scritto in punta di penna e pubblicato nel 1981, sta nel numero unico della parrocchia di San Pio X, stampato in occasione della sagra di zona. È stato inserito poi nel volume sulla frazione periferica meridionale di Udine, edito nel 2014. Ci sono alcuni desueti termini in lingua friulana spiegati nelle note redazionali in parentesi riquadrate. Il vano della casa che gli architetti chiamano “corpo avanzato” e i friulani, a seconda dei paesi, puartefûr di nape, puartefûr di fogolâr, o semplicemente fogolâr è il tipico localetto della nostra vecchia casa, a pavimento spesso rialzato, riservato al focolare. Così è definito nel vocabolario nuovo Pirona. È staccato dall’edificio principale per scongiurare l’eventuale diffusione delle fiamme, in caso d’incendio. Baldasseria negli anni ’80 ne conservava ancora cinque esemplari sfuggiti a indiscriminate ristrutturazioni. Uno di questi è al numero civico 82 di via Baldasseria Media (vedi fotografia di E. Varutti). Ecco l’articolo di Orzan su un edificio lì appresso. (La redazione del blog).



Visita a un tipico Casale dell’Ottocento

Isolata, quasi sdegnosa delle nuove abitazioni vicine, si erge superba in via Baldasseria Media al civico 103, casa Carlini. La sua costruzione risale alla seconda metà dell’Ottocento. Il fabbricato presenta una semplice linea architettonica: pianta rettangolare, tre piani, un corpo avanzato basso a nord il puartefûr [letteralmente: porta fuori], tetto a due falde come sono tutte le nostre case di campagna costruite più in funzione pratica che estetica.

I muri, robustissimi e intonacati, lasciano intravedere qua o là nelle scrostature, sassi e arenarie, materiale da costruzione in quei tempi. Davanti alla casa si stende un ampio cortile e intorno gli annessi e accessori: stalla con il fienile, pollaio, sottoportico, legnaia, lobie [loggia] con il toglât [fienile] e una tettoia con la liscivaia [vano per il bucato con la liscivie, o lissie: acqua e cenere] e la mola per affilare gli attrezzi da taglio. A nord e a ovest si estendono i terreni della famiglia. A ponente confinano con Baldasseria Bassa. A sud, oltre il cortile, gli orti.

Una vera fattoria, dunque; distinzione in quei tempi di agiatezza economica. Una famiglia, Carlini, noto ceppo di Baldasseria, acquistò il complesso nel 1903 da un nobilotto di campagna. La casa attualmente ospita due famiglie.

Il Cortile

Al rustico si accede da un portone imponente, trionfale. Il cancello di ferro è di ottima fattura artigianale. Riecheggia un po’ lo stile del primo Novecento. I pilastri, massicci in mattone fugato, terminano a punta con una palla di graniglia.

Dal portone si diparte qualche metro di muraglia. Dalle fessure spuntano ciuffi di vetriola e asplenio; ai piedi due enormi blocchi di pietra: le panchine per le conversazioni serali nella bella stagione. Entro e provo subito un senso di pace e di serenità. Altissimi e maestosi noci lasciano appena filtrare qualche raggio di sole fra le folte chiome e proiettano un’ombra fresca e riposante. Tronchi e ramaglie accatastati qua e là profumano l’aria di odori di bosco e di muschio.

In un recinto a destra razzolano pigramente le galline. Sosto un momento per sentire le esibizioni canore di un fringuello, il tubare di una tortorella, il frinire d’un checo [gazza ladra]. L’abbaiare insistente del cane segnala una presenza non familiare.

Mi avvicino a nonna Argentina indaffarata con il bucato. Spiego i motivi della mia visita. “ - E’ stato già Don Aldo a cercare fotografie” mi dice bonariamente, stupita da tanto interesse per la sua casa. Evidentemente, non sa di custodire un grande patrimonio culturale della civiltà contadina. Per lei presente e passato coesistono. La lascio intenta al suo lavoro, quantunque si renda subito disponibile per accontentarmi. Preferisco curiosare in giro da solo. Incontro nonna Olga che sta falciando l’erba per i conigli.

Dopo qualche convenevole, gentilmente condiscende ad accompagnarmi. Mi mostra orgogliosa i suoi meloni, ma io ammiro gli annosi piruçârs di San Pieri [peri di San Pietro] carichi di frutti, premio in altri tempi ai bambini che contribuivano alla galetade [raccolta dei bozzoli da seta]. Do uno sguardo alla cornice del letamaio, grande vasca di cemento. È circondato da prugni, aceri campestri, cotogni, noccioli e di fichi: la loro ombra serve a non far rinsecchire lo stallatico.

La Stale e il Toglât

La stalla ora ospita solo una mucca e due vitellini. È lunga e illuminata da finestrelle rettangolari con l’arco a lunetta munite, verso la strada, da artistiche inferriate. Il pavimento è di acciottolato; lo scolo dei liquami di cemento. Sul soffitto che - caso raro - è intonacato, si apre la tromba per il fieno.

In una nicchia c’è S. Antonio abate protettore degli animali. Sul davanzale di una finestra fanno bella mostra di sè striglie e spazzole per acconciare il manto degli animali. Ogni tanto risuona il festoso pigolare dei rondinini nei nidi. Tre colonne di legno quadrangolari con gli spigoli smussati attirano la mia attenzione. Sostengono una architrave, a rinforzo del soffitto, per sopportare il peso del fienile sovrastante a pieno carico. Poggiano su plinti cilindrici di pietra martellata ed hanno il capitello a tronco di piramide rovesciata formato da lamine di legno a sbalzo.

Una costruzione così raffinata doveva essere senz’altro una rimessa per carrozze. A stalla deve essere stata adibita in epoche successive. La facciata della stalla, a ridosso della quale c’è una tettoia per gli attrezzi agricoli, mostra i corsi dei sassi perfettamente allineati e sfaccettati. Provengono dall’alveo del Torre. Sopra la stalla, come già accennato, c’è il fienile.

Salgo con una scala a pioli dall’esterno. Do un’occhiata. È capiente. Può contenere foraggio per una dozzina di bovini. Tra le travi sono infilati ancora lunghi pali polverosi e tarlati. Servivano da riserva per i timoni dei carri, per i medî [la mede, in friulano, è il grumo di fieno; al plurale fa: lis medîs; si consideri la caduta di certi suoni nelle varianti del friulano], dei pagliai, per fare i fiancali delle scale, per i raggi delle ruote ed altri lavori. Ridiscendo.

Nonna Olga mi apre il portone, dalle assi sconnesse e rabberciate, del sottoportico annesso alla stalla. Dentro ci sono il trattore e un rastrellone a trazione animale in uso fino a qualche decina di anni fa. Sul muro vedo un jubàl [lunga pertica per comprimere sul carro i carichi di fieno]. Cerco qualcosa che vi si associa. Il tulùgn non c’è più - mi dice la mia accompagnatrice, prevenendomi [tulùgn=verricello della parte posteriore del carro, utile ad avvolgervi la corda che stringe il fieno alla pertica, o jubàl]. Per fortuna si pavoneggia uno splendido solzadòr [vangheggio, sorta di aratro di minori dimensioni, per rincalzare le piante], vecchio, ma ancora adoperato per i lavori di rifinitura.

Accanto al sottoportico in un vano c’è il mulino meccanico per preparare i mangimi di grano agli animali. Sopra, in un soppalco, scorgo le colombaie e, fra gli altri aggeggi, un rastrello a doppia fila di denti, un attrezzo rarissimo. Serviva a suddividere le legande di segale [le piante di segale sono più lunghe del grano] per i balz di formènt [covoni di frumento].

La Lobie

Anche nella lobie [loggia] scopro interessanti cimeli. Godono il loro meritato riposo uno scjalàr [letto del carro], una grape [erpice], una barele [veicolo a due ruote, trainato da un asino]. Su una parete troneggia un magnifico jôf [giogo]! Su un mucchio di legna abbandonato se ne sta un sejòn di bree [grande sega per tavole] per ricavare le assi dai tronchi. Ci volevano quattro braccia per usarlo.

Getto uno sguardo sul toglât [fienile]; vedo solo qualche manciata di fieno, ma una ricognizione accurata potrebbe riservare tante sorprese.

La Casa

Tutto compreso nel mio rovistare, quasi mi scordo della casa. Nonna Olga mi invita ad entrare. Attraversiamo l’ampia sala da pranzo, ora salotto, e mi fa accomodare in cucina, dove una volta c’era il focolare.

Tranne l’arredamento, nulla è cambiato. Stura una bottiglia di tocai di due anni fresco e frizzante. Bevo volentieri un bicchiere. Quattro chiacchiere sulle vicissitudini della famiglia. Mi mostra la fotografia del marito carrista, fra i suoi commilitoni e Primo Carnera, quando era al campo a Sequals: la forza e la bontà; i simboli del nostro vecchio Friuli.

Riprendiamo il nostro itinerario. Uno sguardo alla dispensa-cantina. Travi a nudo, familiare rusticità, cose buone e genuine: salumi, bottiglie e forme di formaggio in una moscjere [arnese per salvaguardare il formaggio dalle mosche]; odori che fanno dimenticare le ulcere e le raccomandazioni dei medici. È la volta dei piani superiori. Una rampa di scale di legno conduce al primo piano.

A un lungo corridoio si affacciano le porte con le camere da letto. Quattro scalini ancora e si arriva sul solaio. Mi appoggio alla paradane [parete] delle scale per godermi lo spettacolo: pavimentazione di mattoni in piano, qua e là ondulato, asciutto ed arieggiato; sopra la travatura possente: la jòne [trave orizzontale che forma la base del cavalletto del tetto], i travicelli, i correntini, le pianelle. Un sottotetto da fiaba.

Ora non mi resta che violare la dimora di nonna Argentina che occupa il lato ovest della casa. Entriamo. Mi si presenta un angolo grazioso, sobrio, pulito, ma strutturato secondo le attuali necessità. Una volta - mi dice - quando la casa era indivisa, qui c’era lo stanzone per tenere le patate, la farina, il fogliame di gelso per i bachi da seta. Sopra c’era il camerone, dove si mettevano a filare. Come vede, è tutto cambiato. Purtroppo, penso io, siamo cambiati anche noi. Ci hanno rovinato gli allettamenti della modernità, anche se il gusto di un ritorno alle origini e di una vita semplice si fa sempre più sentire. Giunge cosi l’ora del mio commiato.

Prima di allontanarmi mi soffermo un attimo sulla vecchia soglia. Non avevo visto i picchiotti: due teste di leone con una anello infilato in bocca. Una vite americana abbarbicata sul muro nasconde un affresco sbiadito, ma si intravede ancora il profilo di una Madonna con Gesù Bambino e uno stuolo di angioletti. Osservo la facciata della casa deturpata da qualche finestra moderna.

Le originali hanno il riquadro di pietra piasentina e i tradizionali scuri. In complesso la casa presenta ancora il suo vecchio caratteristico aspetto. Termina così la mia visita. Questo tuffo nel passato mi ha riempito di nostalgia, mi ha riportato per qualche istante agli anni della mia fanciullezza.

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Riferimenti bibliografici e del web a cura della redazione

- Centri Friûl Lenghe 2000, Grant Dizionari bilengâl Talian Furlan, Udin, Arlef, Regjon Autonome Friûl Vignesie Julie, 2010.

- G.A. Pirona, E. Carletti, G.B. Corgnali, Il Nuovo Pirona. Vocabolario friulano (ediz. originale: 1932), seconda edizione, Udine, Società Filologica Friulana, 2001, 2.a ristampa.

- E. Varutti, Itinerario storico di Baldasseria, Udine, on line dal 19 aprile 2016.

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Informazioni sul libro di Orzan. “Baldasseria vista da Orzan. Storia e cultura della periferia di Udine sud”. Si intitola così la sua produzione culturale edita dalla Associazione Insieme con Noi, di cui è presidente Germano Vidussi. Per informazioni sul libro, rivolgersi alla Associazione Insieme con Noi. e-mail: insiemeconnoi@gmail.com

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Servizio giornalistico di Elio Varutti. Attività di ricerca e di Networking a cura di Maria Iole Furlan, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografia di E. Varutti.

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