top of page
  • Immagine del redattoreevarutti

Poesie di Pino Capoluongo. Una controlettura

“Scrivere un libro è impegnativo, scriverne uno di poesie è ancor più arduo”. Questo è il pensiero di Maura Pontoni, dell’editrice L’Orto della Cultura, espresso il 12 settembre 2020 in occasione della presentazione pubblica a Udine di Spifferi di versi…, opera di Giuseppe Capoluongo. Cornice dell’evento culturale, con musiche dal vivo di Giovanni Fabris alla viola e Maurizio Di Fant al saxofono, è stato il cortile dell’Oratorio di via Montebello nel quadro della festa per l’Esaltazione della Croce, nella Parrocchia del Cristo. Ha aperto il convengo Rosalba Meneghini, delegato pastorale della parrocchia del Cristo e componente del Comitato Esecutivo dell’ANVGD di Udine. Ha parlato poi don Maurizio Michelutti, parroco del Cristo, dando a tutti l’appuntamento per le cerimonie religiose alla sera del 14 settembre.

Ha portato il saluto del sindaco Pietro Fontanini la professoressa Elisabetta Marioni, presidente della Commissione Istruzione e Cultura del Comune di Udine. Renata Capria D’Aronco, presidente del Club UNESCO di Udine ha detto che “il testo che l’Autore va testé a presentare è un’idea nuova di conciliazione di prosa e poesia, sulla base di una storia immaginaria le cui radici trovano le basi in luoghi reali e nell’integrazione che Pino Capoluongo fa con i testi inerenti il duplice racconto che si sviluppa nell’opera”.

È intervenuto in seguito il professor Elio Varutti, vicepresidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, in rappresentanza di Bruna Zuccolin, residente del sodalizio. “Vorrei accennare al fatto che Capoluongo è un poeta con molti legami riferibili al mondo degli esuli giuliano dalmati” – ha detto Varutti.

La serata poetica è stata intervallata, oltre che da assaggi di dolcetti napoletani, pure da una sfilata di modelle dell’Atelier Axia Fashion di Martignacco con originali abiti sul tema del mare, presentati da Sandra Tesolin.

Si potrebbe dire che questo libello sia proprio uno scrigno di trepida illusione, come si legge, a mo’ di epigrafe, nella quarta di copertina in un lirico resumee di otto righe. Se si è contato bene è la 45.ma composizione del volume, che ha l’Introduzione scritta della professoressa Renata Capria D’Aronco. Esso è come un grumo di pensieri liberati “che paiono convergere – come ha scritto Vittorio Sutto nella Presentazione a pag. 9 – in un’unica direzione, quella di una sorta di coniugazione tra ciò che è stato e ciò che poteva essere, tra ciò che è vero e ciò che è pensato”.

Con un artifizio letterario l’Autore smazzetta le sue poesie e prose, presentandole rimescolate con Il Fauno, che è l’opera nell’opera. Qual è il “casus operandi” per comporre Il Fauno? È un affresco visto in una vecchia villa di Napoli. In questa serie di endecasillabi l’Autore evidenzia una storia d’amore tra un vecchio barone napoletano e una giovane fanciulla Cultura, di nome, detta Ginetta. Il tutto nasce dalla curiosità di Pino nel visitare una vecchia casa piena di libri nei meandri della Napoli antica. A questo punto la lingua italiana usata nel testo cede il passo ad un armonioso idioma napoletano, comunque con versione italiana appresso e alla lingua francese, pure con traduzione.

C’è da aggiungere che finora l’Autore ha prodotto altri libelli, come Pino parla in versi, destinati ad un pubblico ristretto della sfera amicale e familiare. Ha egli effettuato varie letture poetiche in circoli culturali e associazioni. Ha partecipato a vari concorsi letterari a Roma, Napoli, Savona, Modena, Viareggio (LU), Vermiglio (TN) e San Quirino (PN), ottenendo riconoscimenti e soddisfazioni. Si può aggiungere che Pino sia noto a Udine per le sue letture pubbliche in occasione del Giorno del Ricordo. ciò è dovuto alla conoscenza, alla frequentazione e all’empatia con la suocera Maria Millia (1920-2009), esule da Rovigno. Ella era offesa nell’intimo per la strage di Vergarolla, presso Pola, ordita dall’Ozna, il servizio segreto di Tito, che provocò oltre 64 morti e numerosi feriti italiani. È stato riferito che Bepi Nider, assieme ad altri polesi, il giorno dopo l’eccidio tremendo, abbia trovato un filo che portava a una vecchia costruzione, dentro la quale fu scoperto il sistema di innesco per l’esplosivo, dello stesso tipo usato nella miniera di Arsia.

Fin qui si è cercato di proporre un’onesta recensione alla prima presentazione pubblica, sotto le norme anti-Covid19.

La controlettura – Da qui in poi il lettore potrà trovare un’interpretazione forse divergente e originale della raccolta di Capoluongo. Secondo certa letteratura i morti di Vergarolla come le migliaia di italiani uccisi nelle foibe istriane dai titini per pulizia etnica, sono anime che vagano in cerca di giustizia. Ebbene nel lessico di Capoluongo rientrano proprio “quell’anime inquiete senza pace” (pag. 70) pur riferite alle figure del suo contesto poetico (il barone e la Ginetta). Essi appaiono come fantasmi (p. 65). In quanti racconti delle nonne istriane è apparso, ad esempio, uno zio Martin, portado in bosco da quei de Tito e dopo sparido?

Si precisa che la presente interpretazione si sviluppa sul livello inconscio dello scrivere dell’Autore, che è pure una categoria assunta dallo stesso Capoluongo nella lirica in quarta di copertina. Egli si sente emigrante (p. 34), in forte comunanza col profugo, o con l’esule giuliano dalmata. Proprio i profughi in fuga dalle violenze titine si riversano nel Territorio Libero di Trieste (TLT) e poi a Udine, dove opera il Centro smistamento profughi più grosso d’Italia dal 1945 al 1960, da dove transitarono oltre 100mila persone. Essi vengono sventagliati in oltre 140 Centri raccolta profughi come quello di Forcella (NA), una delle località citate nella raccolta di poesie (p. 58).

Un’altra controlettura dell’opera di Capoluongo riferibile a povere guagliune (poveri ragazzi, p. 44) ci dice che ‘ncopp’a riva se strusciavano l’osse ‘copp’all’osse (sulla riva marina si strofinavano le ossa contro le ossa) forse perché magrissimi per i patimenti bellici. “Ossa contro le ossa” è la stessa immagine riferita dalla signora Dora Faresi Pizzo (1926-2017), che ha raccontato: “Son vignuda via da Lussinpiccolo nel 1946, noi se doveva finir in foiba, go visto i annegamenti dei cetnici [iugoslavi monarchici anticomunisti] e dei italiani legadi assieme, iera tochi de cadaveri portadi dal mar su la riva”. Fonte: Dora Faresi Pizzo (Lussinpiccolo 1926 – Udine 2017), interv. del 13 febbraio 2007 a cura di E. Varutti.

Che dire dei ponti rotti (p. 41)? Chi meglio dei titini voleva e sapeva distruggere i ponti sin dal 1941, anno dell’invasione della Jugoslavia da parte delle forze dell’Asse. Se all’inizio era una lotta di ribelli (partigiani) contro gli occupanti nazifascisti, poi diviene mero espansionismo iugoslavo che ingloba Zara, Fiume, Pola definitivamente e Trieste, Gorizia e Monfalcone per 40 giorni di arresti e deportazioni di italiani nei campi di concentramento iugoslavi. Le pretese slave arrivavano a Udine e fino al Piave, come ha scritto Maria Pia Premuda Marson (Cfr: La memoria del patriota cristiano, ten. col. Vittorio Silvio Premuda comandante della Brigata Fratelli d’Italia…, Padova, Cleup, 2020, p. 15).

L’ultimo insieme lessicale di Pino fa cenno ai bombardamenti angloamericani su Napoli, ai rifugi, agli scantinati e alle bocche di lupo (pp. 22 e 29). Tale fatto accomuna Napoli a Milano, Treviso, Dresda, Amburgo e pure Udine. Mi piace concludere la presente rilettura con un altro scrittore assai distante dalle solari parole di Capoluongo. È lo svedese Stig Dagerman, scopritore divergente come lui dei modi di vita nel paese sconfitto dalla guerra. Nel caso di Dagerman è la Germania nazista. C’è uno straniero che “di notte trasalisce quando urta i profughi nelle gallerie di cemento, profughi dall’Est [Pomerania e Alta Slesia, annesse alla Polonia] e dal Sud che dormono un sonno pesante, sdraiati sul pavimento nudo lungo le pareti nude, oppure vegliano attenti, rannicchiati tra i loro miseri fagotti, in attesa di un treno che li porti fino a una nuova stazione, altrettanto piena di disperazione” (Stig Dagerman, Autunno tedesco, Milano, Iperborea, 2018).


Il volume qui recensito

Giuseppe Capoluongo, Spifferi di versi… Prosa e versi, Pasian di Prato (UD), L’Orto della Cultura, 2019, pp. 76, euro 12.

ISBN 9788 832 237221

---

Recensione di Elio Varutti. Servizio redazionale e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Copertina: Giuseppe Capoluongo e Maura Pontoni alla presentazione udinese nella Parrocchia del Cristo. Fotografie della famiglia Capoluongo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

65 visualizzazioni0 commenti
Post: Blog2_Post
bottom of page