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La viziosa Piccola Parigi in Baldasseria, Udine, 1700-1800

Aggiornamento: 16 ago 2020

È una storia intrigante scritta da Alfredo Orzan nel 1984 per il numero unico della sagra di Baldasseria e riproposta in un suo libro nel 2014. Rivela i piccanti aspetti della vita cittadina nell’Ottocento e, più in generale, le relazioni umane nella periferia meridionale di Udine. Ecco il testo composto dal maestro Orzan (La redazione del blog; in parentesi riquadrate ci sono alcune note redazionali).

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Una manciata di vecchie case, a levante e ponente di via Baldasseria Bassa, fra i paralleli di via Lauzacco e Lavariano [vedi sopra, fotografia del 1977]; qualche muro annerito, stradine, orticelli curati e aiuole fiorite. Una borgata tranquilla che ha mantenuto inalterato nel tempo l’aspetto del tipico insediamento operaio-rurale di due secoli fa: un esempio di architettura spontanea modesta, se vogliamo, ma suggestiva e in stridente contrasto con la monotona mole del ‘Modulo commerciale’ vicino, che non poteva trovare collocazione più infelice.

Sull’origine del toponimo. Carletto Domenico nell’agosto del 1971 (allora aveva 79 anni) in occasione della sagra, intervistato, dichiarava al periodico della comunità, in quegli anni intitolato «Parrocchia di S. Pio X»: “I Casali di Baldasseria Bassa vennero denominati ‘Piccola Parigi’ all’inizio del 1800, quando anche la Baldasseria Bassa era un covo di contrabbandieri ... il centro della borgata era costituito dallo stallone o stazione dei cavalli, fabbricato adibito ad abitazione”.

Non esistono, però, fonti storiche per documentare il battesimo di questo toponimo. Le mie ricerche alla Biblioteca Comunale sono state infruttuose. A sentir gli anziani la denominazione ha origini più remote. L’avevano già sentita dai nonni e bisnonni. Evidentemente (e su questo punto le testimonianze orali tramandate sono concordi) nel borgo esisteva una stazione di posta per il cambio dei cavalli alle diligenze che provenivano da Trieste e Gorizia ed erano dirette a Vienna.

Questa sosta favoriva il contrabbando di merci facilmente reperibili nel porto giuliano, ma attirava anche donne compiacenti in cerca di zerbinotti danarosi. Forse il toponimo nacque allora per definire, come dice Carletto, il luogo poco raccomandabile e malfamato simile a certi quartieri della capitale francese. Dopo l’avvento della ferrovia, questa stazione rimase inattiva e si trasformò in rimessa per carrozze, probabilmente, di privati e facoltosi cittadini che avevano in affitto anche qualche stanza per le loro scappatelle.

“Entravano da quel portone” e mostra il rustico ora abitato dalla famiglia Sdrigotti; così un’anziana signora che l’aveva spesso sentito da sua nonna. E mi fa certe allusioni che non lasciano sottintesi. Tornando all’origine del toponimo, esso potrebbe derivare anche dalla presenza di qualche contingente di soldati francesi stanziatosi nei dintorni durante il periodo napoleonico o che frequentavano questo posto in cerca di evasioni amorose. [Nei vicini edifici ristrutturati è stato affrescato lo stemma napoleonico, come si vede dalla fotografia di E. Varutti, del 2018; qui pare ci fosse l’entrata alle stalle per il cambio dei cavalli della stazione di posta, mentre l'incontro con Napoleone è avvenuto in un edificio più a nord].



Può darsi anche che qui si siano accasati dei disertori francesi, come avvenne in Carnia con i cosacchi nell’ultima guerra. L’osteria ‘Al Francese’ sorta nell’ultimo dopoguerra, non ha nessuna relazione con le ipotesi avanzate. La intitolò lo scomparso Gino Colle, padre dell’attuale gestore, emigrato in Francia per tanti anni. A così intitolarla furono gli avventori: “anin a bevi un tai là dal Francês” [andiamo a bere un taglio di vino dal Francese]. Fin qui tra storia e leggenda.

Dopo il ‘900. Indicazioni certe sulla vita del borgo le abbiamo solo dal ‘900. Carlo Rizzi, di anni 76, mi racconta: “I Rizzi hanno sempre abitato qui da generazioni. Mio nonno era chiamato ‘Agnul cuardarûl’ [Angelo cordaio]. I tre vialetti paralleli, che ora sono le entrate delle case di levante, una volta erano il laboratorio del mio avo. Lunghi quanto le corde che fabbricava, qui armeggiata tra balle di canapa e il cigolare di torcitrici, verricelli e arcolai.

Quando ero ragazzo nella casa dei Marano (civico 126) c’era l’osteria con il tabacchino gestita da sior Ugo che faceva il postino. Le vecchiette venivano a comperare qualche soldo di macube o di cinzilio (tabacco da fiuto). La domenica si giocava a bocce. Nell’area contigua, dove ora ci sono l’orto e l’entrata delle villette del Messaggero si teneva il 24 agosto o lo domenica dopo, lo sagra detta di S. Bartolomeo. Si ballava sul breâr al suono delle fisarmoniche e alle luci dei ferai [fanali] a carburo. L’attuale sagra che si teneva in via Baldasseria Media ed ora si fa nel cortile della Parrocchia, è nata qui.

Non potevamo festeggiarla il 15 agosto giorno dell’Assunzione di Maria, perché la gente se ne andava tutta in Giardino Grande alla tombola tradizionale. E anche per non confondere il sacro col profano. Dopo la grande guerra l’osteria venne rilevata da Pieri e Pina Mandoline (Castronini) che spostarono l’esercizio sotto il portico (galleria), attuale abitazione dei Macor. Vendevano vino sfuso e a fiaschi. Era il posto prediletto degli anziani che giocavano per ore a briscola e tressette, mentre le mogli rassegnate li attendevano invano a cena. La messa si teneva nella chiesetta di S. Maria degli Angeli e la scuola nel vecchio edificio di via Piutti si frequentava fino alla terza; poi si doveva andare alla Dante. Ricordo anche il nome delle maestre: Costanza Cozzi e Raffaella Gioconda.

Ogni tanto dal castello suonava l’allarme per le incursioni degli aerei e dei dirigibili tedeschi che bombardavano lo stazione ferroviaria. Le maestre spaventate si rifugiavano sotto i banchi e noi sciamavamo per i campi. Quando nella scuola si stabilì un comando militare le lezioni si tenevano nella casa dei Vuattolo.

Durante la guerra nella vecchia cava d’argilla delle fornaci Rizzani (area su cui ora sorgono l’Istituto Ceron e il supermercato) c’erano trincee, protette da filo spinato attraversato dalla corrente elettrica, scavate in previsione di un ripiegamento del fronte dell’lsonzo.

Dai Clocchiatti, invece, i militari addestravano i S. Bernardo a trainare, perché meno vulnerabili al bersaglio, i biroccini per portare vettovaglie e munizioni in prima linea. Dopo lo guerra, appena rientrato dall’esodo di Caporetto in Toscana, nei prati dei Carlini c’era un campo di concentramento di prigionieri austro-ungarici trasferiti, in seguito, altrove.

Da allora c’è poco da dire. Le vicende dell’ultima guerra tutti le conoscono. Ora ci sono tante nuove case costruite in questi ultimi anni. Prima da qui a S. Ulderico non esistevano abitazioni e la strada era bassa, stretta e polverosa. L’ultimo tronco di Baldasseria Bassa venne asfaltato quando l’on. Moro inaugurò nel giugno del ‘68 lo sede del «Messaggero Veneto». il resto è storia recente. Ormai, fra tanta gente nuova, delle vecchie famiglie native del posto, oltre a noi, sono rimasti i Clocchiatti, i Vuattolo, i Campanotto, i Del Zotto, i Bulligan e i Modonutti”. [Fin qui il racconto di Caro Rizzi].

Il processo di socializzazione. I rapporti, però, personali e di buon vicinato fra la gente bonaria e operosa del vecchio ceppo e i nuovi arrivati stanno diventando, seppur lentamente, sempre più familiari. Le persone incominciano a conoscersi e convivere nel rispetto reciproco. ‘Al Francese’ e nel simpatico negozietto di Mirella trovano lo spazio per scambiarsi quattro chiacchiere, stare un po’ insieme e aprirsi.

Ma favorevoli occasioni d’incontro sono date, soprattutto, dalla parrocchia, dalla scuola, dal mondo del lavoro, dalle sagre vicine. I giovani e i ragazzi sono diventati ormai tutti amici. Saranno essi, un giorno, a fare di questa comunità una grande famiglia perché la ‘Piccola Parigi’ si sta dilatando oltre i suoi confini storici.


Biografia del maestro Alfredo Orzan, cantore di Baldasseria

Orzan, nato nel 1930, ha raccontato con minuziosa precisione e con un certo garbo la vita della parrocchia di San Pio X di Udine, nei numeri unici stampati in occasione della tradizionale sagra parrocchiale. Era una gran penna d’oro il maestro Orzan. Vedi la sua immagine nella fotografia di sopra (di E. Varutti), mentre firma il suo libro all’ex allievo Alessandro Toniutti il 10 ottobre 2015. Orzan si è trasferito in Baldasseria da San Lorenzo Isontino (GO), per insegnare alla scuola elementare “Ada Negri” di via Zucchi. Poi nello stesso quartiere di Udine ha trovato la sua dimora, acquisendo con gli anni un senso di appartenenza tale da portarlo a scrivere tanti articoli su di esso.

In un libro, edito dall’Associazione Insieme con Noi nel 2014, ha descritto gli aspetti religiosi, le chiese, le icone, le industrie della zona e i mestieri di un tempo. Era appassionato di botanica e di agricoltura, fattore economico fondamentale per la vita degli abitanti locali. Ha descritto i corsi d’acqua, le fontane, gli aspetti dell’architettura rurale e dei momenti della vita popolare del quartiere. Ha scoperto anche certe curiosità sui toponimi, come la “peccaminosa” Piccola Parigi, in Via Baldasseria Bassa, dove nell’Ottocento funzionava una locanda, un cambio cavalli e, persino, un bordello, da cui il nome che ricorda i licenziosi cugini d’Oltralpe. È morto a Udine nel 2017. Al suo nome è dedicato il gruppo culturale della parrocchia di S. Pio X dal 2018.

Nel volume, ricco di fotografie inedite, ci sono pure le biografie di alcuni talenti della zona, come Giulio Menossi, Mario Baldan, Corrado Barazzutti, Lucia Gazzino, Toni Menossi, Carlo Tolazzi, Bruno Sebastian, Giovanni Clochiatti, Daniele D’Agaro, Ezio Rojatti, Roberto Lestani e i missionari Padre Alberto Chiappa, nonché Padre Aldo e Padre Bramante Marchiol.

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Informazioni sul libro di Orzan. “Baldasseria vista da Orzan. Storia e cultura della periferia di Udine sud”. Si intitola così la sua produzione culturale edita dalla Associazione Insieme con Noi, di cui è presidente Germano Vidussi. Per informazioni sul libro, rivolgersi alla Associazione Insieme con Noi. e-mail: insiemeconnoi@gmail.com

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Servizio giornalistico di Elio Varutti. Attività di ricerca e di Networking a cura di Maria Iole Furlan, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Si ringrazia per la gentile collaborazione Lucia Burello. Fotografie di E. Varutti e da collezioni private.

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