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Vines. Mio marito con Harzarich in foiba a tirar su italiani uccisi dai titini

Aggiornamento: 15 lug 2021

“Mio marito, Giuseppe Bazzara, era nato nel 1925 a Parenzo e nel 1943 entra volontario nei pompieri di Pola, a 18 anni, sotto il comando del capomastro Salvatore Sabatti, pur di non essere preso dai tedeschi e arruolato nella Landschutz o, nelle loro Waffen SS”. Comincia così l’incredibile intervista alla signora Annita Salucci, di 92 anni, cha sta a Finale Emilia, in provincia di Modena. “Nel mese di ottobre 1943 Giuseppe va col suo comandante Arnaldo Harzarich a tirar su i morti dalla foiba di Vines, in Istria – ha aggiunto Annita Salucci – pensi che c’era tanta gente vicino alla foiba e cercavano di riconoscere le prime salme tra pianti e urla di dolore”. Poi cosa successe? “Lui era giovane e non resisteva a sentire quelle grida strazianti – ha risposto la Salucci – così chiese di scendere nella foiba per cercare di esumare altri corpi, pur di non stare ad ascoltare gli strepiti laceranti in superficie tra i parenti disperati”. In copertina del presente articolo e, nella foto qui sotto, c'è: Giuseppe Bazzara pompiere a Pola nel 1943; Collezione fam. Bazzara-Salucci, Finale Emilia (MO).

Da altre fonti si è saputo come furono scoperte le prime foibe. Dopo che alcuni bambini trovarono vicino alla voragine della foiba di Vines, in Istria, gli occhiali rotti del loro babbo e alcuni bottoni strappati dagli abiti, furono chiamati i compaesani e i pompieri di Pola, per capire cosa poteva essere successo, come ha raccontato Sara Harzarich, nipote del maresciallo Arnaldo. C’era pure un forte odore acre che usciva dalla voragine carsica. I colombi non si aggiravano più come invece facevano normalmente. La foiba è detta “dei colombi”. Poi il maresciallo Harzarich, coi pompieri e i volontari, cominciò a riesumare corpi su corpi. Fu così che si scoprirono le prime foibe. Il maresciallo Harzarich, dall’ottobre 1943 al mese di febbraio 1945, riesumò 250 salme, delle quali 204 furono identificate. Arnaldo Harzarich era nato a Pola il 3 maggio 1903 e morì esule a Merano (BZ) il 22 aprile 1973. Su di lui i titini iugoslavi, nel mese di settembre del 1944, misero addirittura una taglia di 50 mila lire, pur di catturarlo e farlo fuori, senza riuscire nel losco intento.

I nomi dei primi italiani infoibati furono pubblicati nel 1943 su «Il Piccolo» di Trieste, con le fotografie di Giacomo Greatti “cartolaio emerito di Parenzo”, morto esule a Fagagna, in provincia di Udine. “Davanti alla sua cartoleria erano esposte le foto degli infoibati, per darne notizia a tutti, altrimenti non si sapeva niente, i titini cercavano di fare tutto di nascosto e di sera” – mi ha riferito un’altra esule istriana, la signora Marisa Roman di Parenzo, classe 1929. “Mio zio, Carlo Alberto Privileggi, fratello di mia madre – ha aggiunto la Roman – fu fatto prigioniero con altri italiani ‘per accertamenti’, dissero e dalla caserma dei carabinieri di Parenzo i titini lo portarono al castello di Pisino e poi lo uccisero nella foiba”.

Siccome i cadaveri erano nudi e irriconoscibili, come avete individuato lo zio Carlo Alberto? “Mio zio Gino vide una salma che portava un bracciale passatempo di perline, lo prese e lo portò ai familiari ed ebbe la conferma che quello era un regalo ricevuto dallo zio Carlo Alberto quando lavorava in Egitto. Io ero adolescente – ha concluso la Roman – e frequentavo la scuola magistrale di Parenzo e la mia insegnante di italiano era Norma Cossetto, che fu stuprata da 17 aguzzini, gettata nella foiba di Villa Surani e recuperata dai pompieri di Harzarich. Noi compagne di classe restammo sconvolte da quel fatto atroce. Come si fa a fare quelle cose?”

È un’esperienza terribile calarsi nella foiba a recuperare le salme. Ti può segnare per tutta la vita. Signora Annita Salucci, un nome in ricordo della moglie di Garibaldi, pur con la doppia “n” alla toscana, suo marito Giuseppe ne ha mai voluto parlare in pubblico? “No, non ha mai voluto parlare in pubblico – ha risposto la testimone, intervistata con la figlia Anna Maria Bazzara – l’avevano invitato anche in Consiglio comunale a Finale Emilia, verso il 2010, ma lui rispose che non ce la faceva, pensi che se li sognava di notte quegli urli lancinanti e allora lo svegliavo e mi diceva dei morti in putrefazione e dell’odore tremendo, ha avuto quegli incubi fino al 2017, quando è deceduto”.

Foto: Laterina, Centro raccolta profughi, 1949 - Giuseppe Bazzara, a sinistra, trionfante poco dopo il suo matrimonio con Annita Salucci; Collezione fam. Bazzara-Salucci. Ha scritto Anna Maria Bazzara: "Si innamorarono subito e si sposarono il 6 Agosto del 1949 alla presenza di tutti i profughi del campo e con il biasimo dei laterinesi, che mal volentieri avevano accettato la loro presenza".

Signora Salucci ha qualche altro ricordo dell’Istria, riguardo a suo marito? “Sì, a un certo punto gli aerei angloamericani, che bombardavano spesso Pola, hanno colpito anche la caserma dei pompieri – ha detto – così lui, come vari altri ragazzi, mi disse che andò distante dalla città, dove stavano i partigiani, poi nel mese di maggio 1945, finita la guerra, con l’arrivo degli angloamericani, cercò di rientrare nei pompieri a Trieste, ma gli alleati non lo vollero, lo accusavano di collaborazionismo coi nazifascisti, dopo c’è stato l’esodo ed è finito al Centro raccolta profughi (Crp) di Laterina, in provincia di Arezzo, uno dei tanti Campi profughi da lui passati, ci siamo conosciuti lì e poi sposati nel 1949, ma i profughi erano visti come fascisti, perciò maltrattati e vivevano in baracche di mattoni, ma brutte costruzioni di un ex-campo di concentramento per prigionieri britannici, nella baracca c’erano donne e uomini tutti assieme”.

Durante uno scambio culturale con l’ANVGD di Udine, il 30 settembre 2017 Graziano Musizza, presidente emerito della Comunità degli Italiani di Parenzo (un rimasto, dunque), ha salutato con affetto oltre 160 gitanti provenienti dal Friuli Venezia Giulia, tra i quali vari esuli giuliano dalmati. Ha affermato l’importanza degli incontri di dialogo e di amicizia fra gli istriani. Musizza ha accennato, con amarezza, alla fuga di circa il 95% degli abitanti di Parenzo alla fine e dopo la seconda guerra mondiale, mentre pochi, neanche il 30 per cento sarebbero stati compromessi col fascismo.

Dai documenti della collezione familiare (foto a fianco) emerge che i genitori di Giuseppe Bazzara sono Vittorio (nato nel 1900) e Olimpia Casalini (1899). Partiti il 7 settembre 1948 in nave da Parenzo, giungono a Trieste,come si nota dal timbro sul retro del passaporto (foto sotto a fianco). Il 25 settembre il locale Displaced Persons Assembly Centre dell’Allied Military Government (AMG), ossia il Centro per rifugiati del Governo militare alleato, li spedisce “per Udine”. Si tenga presente che Trieste in quel frangente non fa parte dell’Italia, ma è nella Zona A del Territorio Libero di Trieste, sotto amministrazione angloamericana, fino al 1954. I Bazzara passano al valico confinario di Monfalcone (Italia) il 16 ottobre 1948. Destinati al Centro smistamento profughi di Udine, vi arrivano 18 ottobre 1948 e ricevono un sussidio straordinario di lire 1.000, firmato dal direttore Luciano Guaita. A quel punto l’Ufficio Provinciale di Udine dell’Assistenza Post-bellica, di via Pradamano, li smista al Centro raccolta profughi di Laterina (AR). La loro presenza è attestata dall’Elenco alfabetico profughi giuliani, 1949-1961 del Comune di Laterina, dal quale escono il 23 gennaio 1950 per andare a Monfalcone (GO). Però c’è il tour dei Crp, come certi esuli chiamano scherzosamente il loro peregrinare in qualcuno degli oltre 140 campi profughi sparpagliati per l’Italia.

Quali altri Campi profughi ha passato suo marito? “Lì davvero ha patito la fame e non è stato trattato bene – ha replicato la Salucci – oltre a Laterina è stato al Crp di Cinecittà a Roma, poi a Pozzuoli e Bagnoli di Napoli e a Trani, in provincia di Bari”.

So che poi siete finiti in Australia, da quale porto italiano siete partiti? “Abbiamo abbandonato l’Italia da Roma, col contratto di lavoro per l’Australia, ci hanno chiuso nei vagoni merci piombati – ha aggiunto la signora Annita Salucci – al Brennero, in Alto Adige, durante una sosta, mio marito riesce a vedere dal finestrino il suo comandante dei pompieri di Pola, che lo riconosce. Mio marito gli spiegò che non lo volevano più nei pompieri, perché accusato di collaborazionismo, ma Harzarich insisteva a dire di scendere che avrebbe garantito per lui. Purtroppo i vagoni erano sigillati, non si poteva scendere, ormai eravamo proprietà dello stato australiano. Abbiamo vissuto dieci anni in Australia ma prima siamo passati per due anni nei Campi profughi tedeschi ad Engerhafe-Aurich, presso Neuengamme, sobborgo di Amburgo e probabilmente a Tempelhof, presso Berlino, dove ci canzonavano, facendoci le pernacchie e dicendoci: Italiani traditori! Ci siamo imbarcati in un porto tedesco, ma non era Amburgo, la nostra nave era una vecchia portaerei americana con equipaggio italiano, al largo dell’India a causa dei monsoni e delle alte onde mancava poco che ci si ribaltasse, nella nave c’erano italiani, polacchi, ucraini e qualche sloveno, mio marito non soffriva il mal di mare, ma io ero stravolta, mi aiutava qualche limone e delle acciughe che mio marito si faceva dare dai cuochi italiani, poi ho aiutato una signora polacca nelle mie stesse condizioni, mi ricordo che all’arrivo mi abbracciò stretta per ringraziarmi di quell’aiuto”.

Qui a fianco: Laterina, 6.8.49, sposi Annita Salucci, anni 20, e Giuseppe Bazzara, 23 a La Rocca; Collezione fam. Bazzara-Salucci.

Gli operatori dell’International Refugees Organization (IRO) noleggiavano navi da guerra e mercantili per convertirle in navi passeggeri per l’emigrazione in Australia. La maggioranza di esse aveva stive convertite in cameroni con cuccette a castello. La più scassata si chiamava “Liguria”. È Armando del Caro, esule da Pola, a riportare questi ricordi. “Dopo alcuni anni trascorsi nel Campo Profughi IRO di Bagnoli partimmo per il Campo IRO di Aurich (in Germania), per poi imbarcarci a Bremerhaven il 19 novembre 1950 sulla nave Liguria” (Pino Bartolomè, Esilio e Nuova vita sotto la Croce del Sud, 2009). Pure la famiglia Bazzara-Salucci parte da lì alla volta di Melbourne.

Come siete stati accolti in Australia? “Bene, i miei genitori sono stati accolti bene – è la risposta di Anna Maria Bazzara – prima volevano dividerli, il mio babbo in uno stato e mia mamma in un altro, ma loro si opposero, così li lasciarono insieme, lavoravano come camerieri in un istituto agrario, ma non sapevano bene la lingua, poi mio papà bravo elettricista, fu impiegato come manutentore, poi arrivarono i nostri parenti di Monfalcone e nel 1960 si ritornò in Italia con un lavoro a Genova”.

Signora Salucci posso chiederle di raccontare qualcosa dei parenti di Parenzo? “Dopo la guerra c’era la pulizia etnica a Parenzo contro gli italiani – ha risposto Annita Salucci – i titini davano loro la caccia perché, dicevano, che erano tutti fascisti”. A questo punto interviene la signora Anna Maria Bazzara: “Mio nonno Vittorio Bazzara era un orgoglioso mazziniano che non si iscrisse al Partito Nazionale Fascista; coi titini non volle iscriversi nemmeno al partito comunista, solo così mangiavi grazie alla tessera annonaria e avevi lavoro. Alla sera, raccontava, che tra amici e parenti si salutavano come fosse l’ultima volta che si vedevano, perché la gente spariva da un giorno all’altro, c’era un clima di terrore in Istria, così decisero di sfollare in Italia, giungendo al Crp di Laterina nel 1948, col carro merci. Partirono in tanti da Parenzo in barca e i titini coi mitra puntati li obbligavano a girare le spalle alla loro città di fondazione romana, col fine di non lasciar loro vedere per l’ultima volta l’amata Parenzo, l’unica consolazione gliela diede il parroco che si mise a suonare le campane a dirotto per salutarli”.

Foto: Processione al CRP di Laterina tra le baracche, 1949; Collezione fam. Bazzara-Salucci.


Ecco un’altra storia su Parenzo. Due infoibati, i fratelli Giusto e Mario Chersi, il primo di 41 anni, impiegato e il secondo di 52 anni, panettiere, sono menzionati a p. 532 da padre Flaminio Rocchi nel suo L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati (vedi in Bibliografia). “Tra il 20 e il 22 settembre 1943 – scrive Rocchi – i partigiani slavi entrano a Parenzo. 94 persone vengono arrestate a Parenzo, a Villanova e a Torre. Senza processo vengono legate con filo di ferro e gettate nelle foibe di Vines, Zupogliano, Cimino e Surani”.

Sentiamo un’altra intervista. Signora Maria Gioia Chersi, i corpi degli infoibati della sua famiglia sono stati riconosciuti dai suoi parenti? “Sì, oltre a mia mamma Giulia – aggiunge la signora Chersi – sono stati riconosciuti da suo fratello Giuseppe Gripari, che pur essendo di sentimenti comunisti, protestò per quello che avevano fatto i titini e così fu imprigionato. Poi fu liberato e, verso il 1947-1948, scappò travestito da donna su una piccola barca, remando di continuo da Parenzo fino a Trieste”.

Signora Mariagioia Chersi, lei quando è venuta via dall’Istria? “Abbiamo ricevuto il visto di uscita nel febbraio 1949 – risponde Mariagioia – e siamo stati accolti a Trieste da parenti e, siccome non c’erano case a Trieste, visto il grande afflusso di profughi, siamo venuti a Udine, in via Castellana. A Parenzo siamo saliti su un peschereccio e abbiamo viaggiato all’aperto. Eravamo in tanti. Mi ricordo che la gente al molo, prima di salire sulla nave piangeva e, inginocchiatasi, baciava la propria terra. Mi ricordo anche che le guardie confinarie iugoslave controllavano e perquisivano ogni esule in partenza. I maschi da una parte e le femmine dall’altra. Spogliati e privati di soldi, monili d’oro e, perfino, del mio cappotto, dato che se l’è tenuto una donna in divisa, forse per una sua figlia, chissà?”

Alida Gasperini, nata a Parenzo nel 1948 lascia l’Istria con la famiglia il 10 aprile 1949. C’è un dolore straziante per aver perso tre congiunti nella foiba. Dopo una piccola sosta al Centro di smistamento profughi di Udine, vivono per due anni nel Campo profughi di Mantova, in sei in una stanza, e altri cinque anni al Crp di Tortona, in provincia di Alessandria, in una ex caserma, come ha raccontato ai giornalisti de «Il Secolo d’Italia» del 13 febbraio 2014. Per molti profughi è stato così: erano sballottati da un Crp all’altro.

Qui a fianco: La motonave "Nelly" utilizzata per l'emigrazione dei profughi fiumani da Bremerhaven a Melbourne; cenno a cura di Rodolfo Decleva.


Mio nonno Vittorio Bazzara di Parenzo, emigrato in Australia - “Mio nonno Vittorio Bazzara era emigrato in Australia quando, nel 1968, ritornò per rivedere la sua terra natia, allora Jugoslavia – ha scritto nel suo Memoriale Anna Maria Bazzara – Fu un amaro viaggio; già alla frontiera le generalità furono controllate in un registro, da noi chiamato il ‘libro nero’, in quanto i titini consideravano gli esuli dei traditori, mentre da parte italiana erano considerati fascisti in quanto scappati dal comunismo. Se si presentava mio padre con il suo accento istriano non c’erano camere né posti in ristorante: solo a mia madre toscana veniva tutto concesso. Arrivati a Parenzo mio nonno volle andare al Cimitero per trovarlo completamente abbandonato: né un fiore, né un lumino, solo terra e erbacce. E lo stesso abbandono si vedeva nel Paese dove erano rimasti tutti i segni della guerra e le case abbattute. I parenzani rimasti non volevano parlare, per paura, il dialetto.

Mio nonno pianse tutte le sue lacrime e volle fuggire via da quella realtà ancora più triste dell’esilio. Io, tredicenne, ammirata dall’amenità del luogo, gli chiesi perché mai avesse lasciato Parenzo per andarsene i Italia, male accolto e con un futuro incerto. E, per la prima volta, mi raccontò la sua odissea. ‘Vedi picia mia – mi disse – sotto gli austriaci tutti erano liberi di parlare la loro lingua e avevano le proprie scuole. Poi arrivarono gli italiani e imposero a tutti, anche alle popolazione slave, di parlare solo italiano, chiusero le loro scuole e i fascisti compirono terribili crimini. Quando finì la guerra furono gli slavi a impadronirsi della nostra terra, e ricambiarono quello che era stato fatto a loro: si doveva parlare solo slavo, chiusero le scuole italiane e soprattutto cominciarono ad arrivare le popolazioni dalla montagna. Chiunque avesse abbracciato il comunismo titino e avesse avuto un rancore con te, ti denunciava come fascista e venivi buttato nelle foibe. La paura era tanta e siccome io non volli mai la tessera comunista come non volli quella fascista, ero entrato anch’io in questo inferno. Servivano case per alloggiare i nuovi arrivati e pertanto con ogni mezzo possibile mandavano via i legittimi proprietari. Alla sera ci ritrovavamo tutti per salutarci, amici e parenti, non sapendo chi avremmo visto la mattina.

Poi arrivò la possibilità di tornare In Italia con una valigia a testa e tutti i tuoi beni confiscati.

Che fare? Non si poteva restare e fummo costretti ad andarcene. Il giorno in cui si partì dal molo di Parenzo i titini, con i fucili puntati sul molo, ci schierarono sul ponte della nave con le spalle rivolte al paese per impedirci di dare un ultimo sguardo alla nostra terra. Solo lo scampanio delle campane ci accompagnò, sempre più debole, finché non si udì più nulla” (Anna Maria Bazzara, Mi chiamo Anna Maria Bazzara e sono figlia e nipote di esuli istriani, 2020).


Foto: "Finale Emilia, 6-08-2016. E anche i 67 anni di matrimonio li abbiamo festeggiati"; didascalia originale dal post in Facebook di Giuseppe Bazzara.


Una storia nella storia – Guido Busetto è un pompiere di 21 anni morto nel bombardamento angloamericano di Pola del 22 giugno 1944. Ha raccontato Anna Maria Bazzara che: “Il necrologio di Busseto, che mio padre Giuseppe Bazzara aveva religiosamente conservato, ha una storia molto particolare. Quel giorno mio padre era stato assegnato a guardia dei silos al porto di Pola. Questo suo amico e compagno arriva con un po’ di anticipo e dice a mio padre di smontare che ci stava lui che tanto doveva sostituirlo nel turno di guardia. Mio padre se ne va quando, uscito dal porto, lo bombardano e il suo amico muore sotto le bombe. Esattamente nel momento in cui mio padre sarebbe stato lì a finire il suo turno di guardia. Nemmeno dieci minuti hanno segnato il confine tra la vita e la morte. Mio padre ha sempre detto che gli doveva la vita, ma il destino ha sempre strani casi in serbo” (email del 7 ottobre 2020 a C. Ausilio).



Fonti orali - Progetto di Claudio Ausilio, dell’ANVGD di Arezzo, con cui l’ANVGD di Udine collabora dal 2016 per le ricerche sull’esodo giuliano dalmata e sul Centro raccolta profughi (Crp) di Laterina (AR). Ausilio, esule da Fiume a Montevarchi (AR), ha preso gentilmente contatto con le signore Anna Maria Bazzara e Annita Salucci, consentendo lo svolgimento della loro intervista. Sono riconoscente a Rodolfo Decleva, un fiumano attivo nelle ricerche sulla storia e sull’esodo da Fiume, per il cenno bibliografico a Pino Bartolomè e all’emigrazione in Australia. Si ringrazia Nevia Gregorovich. Ringrazio molto le persone intervistate per la generosa disponibilità riservata. Le interviste (int.) sono state condotte da Elio Varutti a Udine con taccuino, penna e macchina fotografica, se non altrimenti indicato.

- Anna Maria Bazzara, Melbourne (Australia) 1956, vive a Finale Emilia (MO), int. telefonica del 19 settembre 2020 assieme alla mamma Annita Salucci; email a C. Ausilio del 7 ottobre 2020.

- Mariagioia Chersi, Parenzo 1942, esule a Udine, int. del 23 marzo 2015.

- Sara Harzarich in Pesle, Pola 1931, esule a Pagnacco (UD), int. del 13 febbraio 2015 e 11 febbraio 2019, assieme al marito Vittorio Pesle, Pisino 1928-Pagnacco (UD) 2019.

- Graziano Musizza, Parenzo 1937, int. a Parenzo (Croazia) del 30 settembre 2017.

- Annita Salucci (Laterina 1928 - Finale Emilia 26.1.2021), int. telefonica del 19 settembre 2020 assieme alla figlia Anna Maria Bazzara.

- Marisa Roman, Parenzo, provincia di Pola 1929, esule a Udine, int. del 26 gennaio 2015.


Collezioni private e ANVGD - Claudio Ausilio, ANVGD di Arezzo, Comune di Laterina (AR), Elenco alfabetico profughi giuliani, 1949-1961, ms. - Famiglia Bazzara-Salucci, esule da Parenzo, vive a Finale Emilia (MO), fotografie, passaporti provvisori, necrologi, lettere, ms e stampati.

Foto sotto: Giuseppe Bazzara nel 2017; da Facebook.

Bibliografia essenziale

Pino Bartolomè, Esilio e Nuova vita sotto la Croce del Sud, Melbourne, Brent McKenna & Ass., 2009.

- Anna Maria Bazzara, Mi chiamo Anna Maria Bazzara e sono figlia e nipote di esuli istriani, testo in Word, Finale Emilia (MO), 4 ottobre 2020, p. 4.

- Elisabetta Bertolotti, Una famiglia qualunque. Memorie e vita quotidiana da oggi all’Ottocento, Pavia, Pagepress, 2016.

- Aulo Crisma, “Una lapide per Aldo Adriani”, «In Strada granda», n. 88, 23 maggio 2017.

- Vittorio Pesle, Memoriale sul Giorno del Ricordo, 11.2.2019, p. 4, datt.

- Flaminio Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Roma, Associazione Nazionale Difesa Adriatica, 1990.

Elio Varutti, Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia esuli in Friuli 1943-1960. Testimonianze di profughi giuliano dalmati a Udine e dintorni, Udine, Provincia di Udine / Provincie di Udin, 2017. Anche nel web.


Foto a sinistra: Giuseppe Bazzara e Annita Salucci con la nipote Myriam Isabel Boetti nel giorno della sua laurea, il 7 marzo 2013; Collezione fam. Bazzara-Salucci.

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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Claudio Ausilio, Anna Maria Bazzara e Girolamo Jacobson. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

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