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Titini a Cividale, Gemona, Resia e Venzone, in provincia di Udine, nel 1945

Aggiornamento: 1 apr 2023

Che ci facevano a Gemona del Friuli i titini nel 1945? La fotografia di copertina di un volume del 2007 mostra l’avvenuta invasione di partigiani jugoslavi. L’immagine è del 3 maggio 1945, opera del famoso studio fotografico Di Piazza. C’è un assembramento di persone e vari partigiani osovani, col cappello d’alpino, del Battaglione Ledra vicino a un carro armato inglese fermo, in autocolonna, davanti al comando provvisorio partigiano, ex caserma della Milizia, in Via XX Settembre. Si svolgono febbrili trattative tra il maggiore Tommy Macpherson, dalla torretta del blindato e un capitano jugoslavo del IX Corpus, salitogli accanto. Il maggiore scozzese ha la meglio, scacciando i titini, che volevano annettere Gemona alla Jugoslavia. È così che quel nervoso capitano jugoslavo fa rientro, con le pive nel sacco, al Comando di Villa Moretti a Tarcento, dove i titini si erano ben sistemati, volendola annettere allo Slovensko Primorje, ossia il Litorale Sloveno. Il libro che ha questa incredibile fotografia è stato scritto da Ezio Bruno Londero, partigiano della Brigata Osoppo Friuli, ritratto nella stessa immagine col mitra sulle ginocchia vicino alla torretta del carro britannico; foto qui sotto (vedi: Londero, pag. 42).

I negoziati tra il maggiore scozzese e il capitano jugoslavo proseguono in inglese e francese. Come ha ricordato Ezio Bruno Londero col Macpherson (1920-2014) “ci si intendeva in francese” quando militava, in veste di consigliere militare, col Battaglione Prealpi, alla Forca di Ledis, tra Gemona e Venzone, dall’autunno 1944 alla Liberazione (vedi: Anonimo 1998). La clamorosa immagine dei convulsi patteggiamenti fra Macpherson e il capitano jugoslavo svoltisi a Gemona dovrebbe essere di Diego Di Piazza, oppure di suo fratello Guerrino, figli d’arte, del gran fotografo Giuseppe Di Piazza (1877-1936) di origini carniche, citati da Gianfranco Ellero.



Cambiamo zona. Ad un gruppo di turisti Aldo Di Bernardo, il 17 ottobre 2021, a Venzone ha detto, indicando col dito la vicina montagna: “So che dopo il 1945 si vedevano i partigiani titini sulle montagne qui sopra”, durante una visita guidata alla cittadina medievale sita in provincia di Udine. Sia Gemona che la vicina Venzone rientrano nell’appetito espansionista jugoslavo, ma non avevano fatto i conti con Macpherson, ricercato dalle Waffen SS per certi sabotaggi in Francia e persino dal suo alleato Tito, che voleva farlo ammazzare, come gli confidò in un incontro sull’Isola di Brioni nel dopoguerra (vedi: Grillo 2014).

Sono noti i bombardamenti alleati sulla linea ferroviaria pontebbana in Friuli dal 1943 al 1945. È la linea Venezia-Udine-Tarvisio. A Gemona vien presa di mira la stazione, presidiata da ferrovieri tedeschi. La fotografia riportata poco sotto potrebbe riferirsi a tali fatti. Fotografia Di Piazza e Co., Esplosioni a Gemona [titolo del cur.], 1945. Ente Regionale Patrimonio Culturale della Regione Friuli Venezia Giulia (ERPAC).

Si aggiunge che avviene un serie di esplosioni alla sera del 24 dicembre 1944 per il sabotaggio dello stabilimento Morganti a Piovega (Gemona bassa). L’azione militare è condotta, su indicazioni del maggiore Macpherson, da Ezio Bruno Londero e dai suoi partigiani osovani, oltre a Frank Gardner, un caporale neozelandese fuggito da una tradotta diretta ai campi di concentramento. Il cotonificio Morganti stava per essere trasformato dai nazisti in un fabbrica di parti di aereo da caccia, perciò per gli Alleati è un obiettivo da danneggiare. L’azione riesce. È così ben preparata che non provoca neanche un ferito. All’indomani ne parla Radio Londra e più tardi anche Radio Mosca (vedi: Londero, pp. 34-36). Macpherson aveva perfino dato l’ordine a Londero e ai suoi osovani di bagnare i calzoni, per dimostrare in caso di cattura nemica, che provenissero da oltre il fiume Tagliamento, così da costringere i tedeschi a mantenere i loro presidi in Carnia (vedi: Anonimo).

Anche Don Pietro Londero, detto Pieri Piçul, ha descritto l’invasione dei titini a Gemona, appoggiati dai partigiani rossi. “Dopo dai nestris a’ son rivâz ancje i Titins… a ocupâ la fabriche. (…) lör a’ intindevin di deventâ parons de nestre tiere…” (Dopo dei nostri [partigiani] sono arrivati anche i Titini… a occupare la fabbrica. (…) loro intendevano diventare padroni della nostra terra) [Pičul, 1999, p. 68].



L’espansionismo jugoslavo del dopoguerra al confine orientale italiano faceva paura persino agli USA. Dal Colorado, infatti, a fine maggio 1945 fu inviata sulle Alpi Giulie, vicino a Tarvisio (UD), la Decima divisione addestrata a combattere in particolari condizioni metereologiche di montagna per respingere le truppe di Tito. Mission M.t Mangart è il titolo di un film su quei fatti, opera del regista statunitense Chris Anthony, premiato come miglior documentario al World Film Festival di Cannes 2021. La pretesa annessione titina del Friuli, o di una sua parte, è un tema presente pure agli atti del processo di Lucca per l’eccidio di Porzûs, del 1952, occasione di contrasti tra gli storici.

Pochi autori spiegano che i titini, oltre ad occupare Zara, Fiume, Pola, Trieste, Gorizia e Monfalcone (GO), nella Venezia Giulia, sono giunti in varie località del Friuli, terra tradizionalmente italiana con delle minoranze linguistiche e nel vicino Veneto. Il riferimento degli appetiti jugoslavi è a Romans d’Isonzo (GO), Cividale del Friuli, Gemona, Venzone, Aquileia e Cervignano del Friuli, nella Bassa friulana. Una jeep di artificieri jugoslavi fu vista da partigiani della Osoppo sulle rive del Tagliamento, vicino ad un ponte. Come ha scritto Mara Grazia Ziberna a Gorizia “il periodo dell’occupazione titina, dal 2 maggio al 12 giugno 1945, vide la costituzione nella Venezia Giulia dello Slovensko Primorje, cioè il Litorale Sloveno, che aveva come capoluogo Trieste e comprendeva anche il circondario di Gorizia, diviso in sedici distretti e composto anche dai comuni di Cividale del Friuli, Tarvisio e Tarcento [della provincia di Udine], considerati slavofoni” (Maria Grazia Ziberna, 2013, p. 83).

Che il confine jugoslavo dovesse arrivare al fiume Tagliamento, in mezzo al Friuli, lo scrivono, sin dal 1944, gli strateghi di Tito, i cosiddetti storici del movimento di liberazione sloveno, nonché gli alti burocrati del Comitato centrale del Partito comunista jugoslavo, come ha dimostrato Raoul Pupo nel 2010, nel suo libro Trieste ’45 (alle pagg. 42 e 45).

Per 40 giorni militi jugoslavi prelevano dalle case i cittadini italiani di Trieste, Gorizia e Monfalcone, in media cento al giorno. Tra gli arrestati ci sono alcuni fascisti o collaborazionisti, ma molti sono Combattenti della Guerra di Liberazione e civili vari, per eliminare ogni opposizione a Tito. Pochi fanno rientro a casa a causa della pulizia etnica. È il metodo Vaso, accennato da ben pochi storici. Vaso Čubrilović, ministro del dittatore Tito, è autore di due sconvolgenti Memorandum a favore della pulizia etnica in Jugoslavia nel 1937 e 1944: il primo intitolato L’espulsione degli Albanesi ed il secondo Il problema delle minoranze nella nuova Jugoslavia. Ecco un suo scritto del 1944: “Noi non abbiamo richieste territoriali contro l’Italia, all’infuori dell’Istria, Gorizia e Gradisca […] Quando riconquisteremo quei territori (dell’Istria e Dalmazia), li dovremo rioccupare anche etnicamente allontanando tutti gli italiani…”. (vedi: Buccini). Čubrilović ricorda un metodo efficace utilizzato nel 1878 che consisteva nel radere segretamente al suolo i villaggi ed insediamenti albanesi. Ciò dimostra che per gli Slavi del sud la pulizia etnica è un vero e proprio assillo che affonda le sue radici nei secoli passati. Eppure, pochi autori citano la pulizia etnica in riferimento ai fatti della metà del Novecento; penso a Albano Marcarini, o a Denis Visintin.

La pressione titina si sviluppa pure a Cividale del Friuli, paese occupato dagli alleati. Gli storici hanno dimenticato questa invasione jugoslava. “Alla porta del mercato [di Cividale], di buon mattino – ha scritto Antonio Rieppi su «Libertà» del 31 luglio 1946 – con numerosi carrozzoni, sono arrivati anche i partigiani di Tito che hanno occupato Casa Zorutti, il Liceo Ginnasio e il Palazzo Accordini dove hanno insediato un comando ed esposta la bandiera jugoslava”. I partigiani occupano pure il Municipio, esponendo la stessa bandiera di Tito. Per fortuna c’erano pure quella inglese e americana, così i titini non ebbero il campo libero per abbattere altri italiani. C’erano troppi carri armati degli alleati e i fazzoletti verdi dei partigiani della Divisione Osoppo Friuli. Così sono sparite le bandiere rosse e jugoslave che avvolgevano perfino la statua di Giulio Cesare.

Ci sono più fonti riguardo alle bandiere jugoslave issate a Cividale dai partigiani titini e poi fatte togliere dagli alleati. Oltre a Guido Aviani Fulvio, c’è la testimonianza di Ernesta Scaunich Rucli, di Scrutto, frazione del comune di San Leonardo, in provincia di Udine, vicino a Cividale. Il 2 maggio 1945 nel rustico paesino delle Valli del Natisone è tutto un metter fuori bandiere tricolori che poi i titini vorrebbero eliminare, accusando di fascismo chi gira con nastri tricolori tra i capelli. Si presentano partigiani garibaldini e titini con una “tovarišica” (in sloveno: compagna), che impone di prendere nome e cognome di chi vuole tenere il tricolore italiano alle finestre. Poi, puntando il mitra, la scalmanata tovarišica grida di: “mettere la stella rossa in mezzo alla bandiera”. E ancora, peggio: “Qui siete jugoslavi e la stella rossa è simbolo di internazionalismo”. Tuttavia dinnanzi ad un assiepamento di familiari e conoscenti, tra i quali il farmacista del luogo, i partigiani jugoslavi se la squagliano e il bianco, rosso e verde resta lì in tutto il paese (Ernesta Scaunich Rucli 2009, p. 17).

Un’altra fonte ricorda di essere stato stupito il 2 maggio 1945 dal drappello di soldati jugoslavi che salivano da Via Monte Nero verso il centro di Cividale. “Mi aveva sorpreso la divisa nuova che indossavano, color nocciola, e l’andatura marziale; era un drappello con una ventina circa di componenti in fila per quattro” (Mario Ellero 2009, p. 21).



Fotografia qui sopra - Cividale, Un caccia-carri di fabbricazione USA in piazza del Duomo, 1945. Immagine tratta dal catalogo: Emanuela Accornero, Gianni Clemente, Lorenzo Favia (a cura di), 2 e 3 maggio 1945. Cividale liberata… e storia di un amore. Scatti fotografici di Manlio Bront, Associazione per lo sviluppo degli studi storici ed artistici di Cividale del Friuli, 2009,

Riguardo alla presenza titina a Resia (UD), il 16 ottobre 2021, ho letto in Facebook la seguente considerazione di F. T.: “Se non ci fosse stata la penetrazione in terra resiana dei partigiani titini/sloveni, Resia avrebbe vissuto un tranquillo momento della sua esistenza, senza troppe apprensioni e inquietudini, ma non è stato così”. A Resia oltre al IX Corpus di Tito, dalla fine del 1944, agisce il Battaglione osovano Resia, su esplicita richiesta dei residenti, che si sentono italiani, come ha scritto Ezio Bruno Londero, a pag. 44.

Si sa, infine, che diversi partigiani russi hanno combattuto contro i nazifascisti in Friuli dall’inizio del 1944. A Forni di Sopra (UD) c’era il battaglione Stalin, che operava in Carnia. Un altro battaglione di garibaldini sovietici agiva tra Veneto e Friuli, poi c’era il battaglione Kirov, attivo nel Pian del Cansiglio (BL, PN e TV). Infine c’era nientemeno che il figlio primogenito di Stalin nella Brigata partigiana Piave, operativa sulle colline di Vittorio Veneto (TV); egli si celava sotto il nominativo di Giorgio Vorazoscvilj “Monti” («Il Gazzettino» Cronaca di Treviso, 29 agosto 2015, citato dalla Premuda Marson, 2017). Con tutti questi reparti militari, pare plausibile che ci fossero pure certi agenti dei loro servizi segreti, in alleanza con quelli jugoslavi, come l’Ozna. Proprio Maria Pia Premuda Marson afferma che “Agenti speciali sovietici si erano inseriti nelle formazioni partigiane denominate ‘Brigate Garibaldine” (Premuda Marson 2017, p. 17).

Nel dopoguerra e negli anni ‘50 è attivo a Udine, in Via Martignacco, l’ufficio di una missione russa, con almeno quattro spie dotate di autovettura nera, con competenze fino a Milano; devono essi ricercare tutti i cittadini sovietici ancora sparsi in Friuli e dintorni, come i reduci partigiani non rientrati, o i sopravvissuti cosacchi, o gli imboscati cobelligeranti dei nazisti. Non mancano le sparizioni e le uccisioni.

Al Confine orientale il fatto più sconvolgente resta l’eccidio di Porzûs, in Comune di Attimis (UD). Fra il 7 e il 18 febbraio 1945, diciassette partigiani (tra cui una donna, loro ex prigioniera) delle Brigate Osoppo, formazioni di orientamento cattolico e laico-socialista, vengono imprigionati e ammazzati da parte di varie decine di partigiani gappisti, appartenenti al Partito Comunista Italiano. Sulla moralità della Resistenza, infine, c’è un gran dibattito. I temi riguardanti l’etica della Resistenza non sono oggetto di indagini solo di Gampaolo Pansa, che ha iniziato ad indagare sulle eliminazioni nel Triangolo rosso di Reggio Emilia con Il sangue dei vinti (2005), con La Grande bugia (2006) ed altro. Essi sono stati messi sul piatto della bilancia sin dal 1991 da Claudio Pavone, col suo Saggio storico sulla moralità nella Resistenza. Poi, per i ricercatori, è stato come un fiume in piena fino a scoprire il ruolo dell’Ozna negli attentati dell’Italia del Nord.


Foto qui sopra - Volantino ciclostilato del Comando della Divisione Garibaldi Natisone, passata sotto il comando del IX Corpus sloveno nell’estate 1944, inneggiante alla “fratellanza degli italiani con gli sloveni”, nonché alla “unità d’armi dei garibaldini con l’esercito jugoslavo”. Databile: Trieste, maggio 1945. Dal web.

Commenti da Internet – Abbiamo ricevuto vari commenti positivi nel web riguardo l’articolo presente, oltre a centinaia di visualizzazioni verificatesi in pochi giorni dalla pubblicazione nel blog. Fra tutte le interessanti considerazioni raccolte pubblichiamo volentieri quella dell’ingegnere Sergio Satti (Pola 1934) che, il 27 dicembre 2021, in riferimento alla occupazione titina del Friuli ha scritto: “Testimonianze fattemi da un mio compianto amico appartenente alla Osoppo: grazie all’intervento degli angloamericani i partigiani di Tito si ritirarono dal Friuli”. In particolare Sergio Satti, in un successivo colloquio, ha precisato che fu l’ingegnere Sergio Piuzzo (Tarcento 1927-Udine 2014) a testimoniargli quei fatti, quando negli anni 1960-1970 era egli in contatto con ex-partigiani garibaldini convinti a parlare.

Sulla delusione dei partigiani garibaldini patita verso la fine della seconda guerra mondiale nei confronti dei titini del IX Corpus, smaniosi di annettere terre italiane alla Jugoslavia, ha scritto pure Renato Rozio, nel suo diario di partigiano garibaldino della Divisione Garibaldi-Natisone (filo-titina) in trasferimento dal Collio goriziano al guado dell’Isonzo presso Caporetto e poi in Slovenia fino a Lubiana. Quei partigiani lasciarono Trieste, Gorizia e Monfalcone in mano agli jugoslavi per 40 giorni, fino al 10 giugno 1945, quando gli angloamericani riuscirono a cacciarli oltre la linea Morgan. La pulizia etnica de facto era già avvenuta.

Fotografia qui sotto: Gita a Redipuglia (GO) di Bartolomeo Cera, dei suoi commilitoni e familiari, 1948. In linea d'aria, a 6 chilometri, c'è il nuovo confine con la Jugoslavia. Collezione Alberto Cera, Cividale del Friuli.


Apprezzamenti sono giunti dallo scrittore Mauro Tonino, del Comitato Esecutivo dell’ANVGD di Udine, soprattutto in riferimento alla crisi titina nella zona di Cividale del Friuli.

Commenti favorevoli anche da parte di Paolo Cera, dell’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia (UNUCI). Il 4 gennaio 2022 con una e-mail all’Autore ha dato il seguente contributo. “Il primo dopoguerra è stato molto teso a cavallo dei due confini – ha scritto Paolo Cera, di Cividale del Friuli – mio padre, Bartolomeo Cera, è giunto in divisa a Cividale nel 1947 (fino alla pensione nel 1975), dopo la guerra in Africa Orientale, la prigionia nei lager indiani e, in seguito, in Gran Bretagna. Non solo lui ma anche suoi amici colleghi, mi raccontarono di scontri tra pattuglie del 76° Reggimento Fanteria ‘Napoli’ di stanza a Cividale, con reparti jugoslavi che, di notte tentavano spesso di spostare in avanti i paletti che segnavano i confini. Ricordo anche che due o tre soldati di questo reggimento morirono colpiti dal fuoco nemico. Uno di loro era siciliano. Le cose cambiarono dopo la reazione italiana contro le pretese titine di annessione nel 1953, con la Esigenza T (dove “T” sta per: Trieste), quando il nostro governo (ministro Giuseppe Pella) schierò il grosso dell’Esercito lungo il confine facendo sgretolare la supponenza del maresciallo Tito”.

A conferma di quanto ricordato dal signor Cera, si veda il libro di Bojan Dimitrijević, a pag. 71: “L’episodio più grave avvenne presso il villaggio di Drenchia (Dreka) [in provincia di Udine], sul versante italiano di Tolmino il 26 aprile 1949, quando un soldato italiano venne ucciso e due feriti”. Ancora a pag. 94: “Lo stesso giorno del 29 agosto 1953 fu attivato il 76° Rgt Fanteria (…) il rafforzato 76° Rgt fu impiegato su tutto il confine da Tarvisio a Monfalcone”.

Un altro episodio sconosciuto è avvenuto nel 1946 quando in periodi diversi furono abbattuti, sul nord della Jugoslavia due aerei C46 Dakota americani in transito dall’Austria verso l’Italia da parte di aerei jugoslavi. Dopo le pesanti proteste americane, questo traffico frontaliero non fu più disturbato.

La crisi di Trieste si sviluppò ad ottobre 1953, quando gli angloamericani resero nota l’intenzione di cedere all’Italia la Zona A del TLT, mentre la Zona B era già piena di carri armati jugoslavi. A Belgrado il 9 ottobre furono assaltate le ambasciate USA e della Gran Bretagna, furono distrutte alcune biblioteche e la folla gridava ‘Trst je naš’ (Trieste è nostra) e anche ‘Pela džukela’ (Pella canaglia, con riferimento a Giuseppe Pella, primo ministro italiano). Si noti che džukela è una forma inventata sul momento per fare rima, dato che in serbo ‘cane bastardo’ si dice: džukele (vedi: Gilas, p. 362). Dopo l’amministrazione straniera, alleata e jugoslava, il 26 ottobre del 1954, avviene l’ingresso dei bersaglieri in città e la riunificazione all’Italia di Trieste.


Fotografia qui sopra: Fogliano Redipuglia (GO), gitanti italiani con i coniugi Cera, sotto il nuovo cartello confinario, 1948. Collezione Alberto Cera.

La fotografia sottostante, pubblicata da Franco Londero, di Gemona del Friuli, su «La Vita Cattolica» del 1° marzo 2023, mostra il Comando titino a Gemona nel maggio 1945. A destra dell’ingresso c’è la bandiera rossa, a sinistra quella della Venezia Giulia (Tricolore italiano con stella rossa nel campo bianco) della erigenda Settima Repubblica Jugoslava. Poi, però, ci fu la Linea Morgan.



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Cenni bibliografici e di sitologia

- Anonimo, Il mio legame con Macpherson, [Appunti manoscritti da un colloquio con Ezio Bruno Londero sul maggiore Thomas Macpherson] ms, 1998, pp. 4. Archivio dell’architetto Franco Pischiutti, Udine.

- Guido Aviani Fulvio, “Introduzione storica” in: Emanuela Accornero, Gianni Clemente, Lorenzo Favia (a cura di), 2 e 3 maggio 1945. Cividale liberata… e storia di un amore. Scatti fotografici di Manlio Bront, Associazione per lo sviluppo degli studi storici ed artistici di Cividale del Friuli, 2009, pp. 5-10.

- Goffredo Buccini, “Foibe, farla finita con l’oblio. Riconquistiamo la memoria”, «Corriere della Sera», 10 febbraio 2021, p. 37.

- Sito web del Comando Forze Operative Nord (COMFOP NORD), un Alto Comando dell'Esercito Italiano, visualizzazione del 7.01.2022.

- Bojan Dimitrijević, La crisi di Trieste 1953, Gorizia, LEG edizioni, 2020. (Suggerimento bibliografico di Paolo Cera, che ringrazio).

- Gianfranco Ellero, Fotografia della storia nel Friuli e nella Venezia Giulia. [S.l.], Istituto per l'Enciclopedia del Friuli-Venezia Giulia, 1995 (Tavagnacco, Arti Grafiche Friulane).

- Mario Ellero, “Il crepuscolo”, in: Emanuela Accornero, Gianni Clemente, Lorenzo Favia (a cura di), 2 e 3 maggio 1945. Cividale liberata…, cit. 2009, pp. 20-21.

- Milovan Gilas, Se la memoria non m’inganna… Ricordi di un uomo scomodo 1943-1962, (ediz. originale: Vlast, London, Naša Reč, 1983), Bologna, Il Mulino, 1987.

- Gino Grillo, “Addio a Thomas Macpherson, lo scozzese che liberò Gemona”, «Messaggero Veneto», 9 dicembre 2014.

- Ezio Bruno Londero, Memorie di ‘Nino’ partigiano della ‘Osoppo’, Gemona del Friuli, [s.e.], 2007.

- Franco Londero, “Memoria e ricordo, dolorosi e incompleti. Non si può riscrivere la storia”, «La Vita Cattolica» del 1° marzo 2023, p. 25.

- Maria Pia Premuda Marson, L’assassinio di Vittorio Silvio Premuda tra le epurazioni finalizzate al tentativo di porre una parte del nostro stato sotto la sovranità della nascente confederazione jugoslava, Padova, Cleup, 2017.

- Pieri Pičul [i.e.: don Pietro Londero], I Cosacs in Friûl. Ricuarz personai di Pieri Pičul [I Cosacchi in Friuli. Ricordi personali di Pietro Piccolo], Comun di Glemone (UD), 1999.

- Raoul Pupo, Trieste ’45. Dalla risiera alle foibe (1.a edizione: Bari-Roma, 2010), Milano, RCS MediaGroup, 2022.

- Antonio Rieppi, “La liberazione di Cividale (Dal mio diario)”, «Libertà», Udine, 31 luglio 1946, p. 3.

- Renato Rozio, La paga del guerriero. Le vicissitudini di un partigiano della Divisione Garibaldi-, Natisone sul Collio e in territorio sloveno (1944-1945), Udine, Del Bianco, 1997.

- Ernesta Scaunich Rucli, “Mercoledì 2 maggio 1945”, in: Emanuela Accornero, Gianni Clemente, Lorenzo Favia (a cura di), 2 e 3 maggio 1945. Cividale liberata…, cit., 2009, pp. 15-17.

- Vicende di guerra, tra Carnia e Gemonese, on line nel 2014 su gemonese4445.blogspot.com http://gemonese4445.blogspot.com/2014/

- Maria Grazia Ziberna, Storia della Venezia Giulia da Gorizia all’Istria dalle origini ai nostri giorni, Gorizia, Lega nazionale, 2013.


Ringraziamenti

Si ringraziano la professoressa Elisabetta Marioni e l’architetto Franco Pischiutti (ANVGD Udine) per la preziosa collaborazione riservata alle ricerche in riferimento alle fonti bibliografiche. Riguardo alle spie sovietiche operanti a Udine l’A. è grato a J.C. per le notizie riferite il 27.11.2021. Per la diffusione nel blog presente si ringraziano gli autori, gli editori e i proprietari delle immagini qui riprodotte. Grazie agli operatori e alle direzioni delle seguenti biblioteche di Udine per la disponibilità dimostrata nell’indagine: Biblioteca “R. Del Din” dell’Associazione Osoppo Friuli, Bibl. della Società Filologica Friulana, Bibl. Civica “V. Joppi”, Bibl. “P. Bertolla” del Seminario Arcivescovile e Bibl. dell’Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione.

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Note - Progetto e attività di ricerca: Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking a cura di Maria Iole Furlan e E. Varutti. Lettori: Bruno Bonetti, Annalisa Vucusa (ANVGD Udine), professori Stefano Meroi e Paola Quargnolo. Copertina: Tulia Hannah Tiervo, Elaborazione cromatica digitale su fotografia dell’opera di Luciano Ceschia, di Tarcento, intitolata ‘Trasporto di un partigiano ferito’, di inchiostro su carta del 1950, courtesy dell’artista, 2021.

Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine. Fotografie da collezioni private e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30.

Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web: https://anvgdud.it/



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