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Italiani di Fiume, preti, Ozna e le carceri titine. Don Janni Sabucco esule a Pisa

Aggiornamento: 17 gen 2022

Ecco le opere e i giorni di Mons. Janni Sabucco a Fiume dal 1939 al 1948 nella parrocchia del SS.mo Redentore, con don Luigi Polano. Arrestato e torturato dall’OZNA, fino a rovinargli la vista, don Sabucco è esule a Pisa, con la covata di Mons. Ugo Camozzo, ultimo vescovo italiano di Fiume. La sua attività pastorale viene alla luce grazie ai documenti conservati dai suoi parenti in Friuli, in Canada e ai dati dell’autorità dell’Arcidiocesi di Pisa. Il progetto è del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine, cui hanno collaborato l’ANVGD di Arezzo e quella della Toscana.

Dopo l’entrata dei titini a Fiume, il 3 maggio 1945, preceduta dalla fuga dei nazisti, così Severino Dianich descrive la situazione creatasi in città. “Non sapevamo nulla delle foibe: era solo che la gente spariva, si moltiplicavano i desaparecidos. Illusi, speravamo che l’occupazione finisse e passassimo sotto l’amministrazione degli Alleati, mentre si consolidava col pugno di ferro su tutte le nostre libertà. Le uniche reazioni possibili erano quelle dei ragazzini e degli studenti, oppure quella delle chiese affollate anche da atei e anticlericali per rendere onore al vescovo Mons. Camozzo o per ascoltare le coraggiose prediche di don Janni Sabucco e di don Alberto Cvecich”. Foto sotto: cartolina di Fiume, Chiesa dei Cappuccini, anni ’40. Coll. Conighi.


È su don Janni Sabucco che si intende ora focalizzare l’attenzione. Egli è tra le ultime persone a vedere ancora in vita, pur se malconcio di botte, il senatore Riccardo Gigante, prigioniero dei partigiani comunisti che lo conducono a Castua, luogo dell’esecuzione. Don Sabucco ne descrive la tragica sfilata in una sua pubblicazione intitolata …si chiamava Fiume, del 1953, citata per primo da Luigi Maria Torcoletti, nel 1954, poi da Enrico Burich nel 1964 e da Mario Dassovich nel 1985.

Il senatore Riccardo Gigante, capo dell’irredentismo fiumano, è la prima vittima dei partigiani comunisti slavi. Viene catturato in un'abitazione la notte stessa dell’invasione. Avrebbe potuto salvarsi in tempo a Trieste, come fece buona parte degli esponenti fascisti, secondo Burich. Perché mai Gigante non si è messo in salvo? Avendo la casa bombardata, perché egli resta a Fiume riparandosi all’Oratorio salesiano con don Girolamo Demartin o in altri posti? I titini, ben informati dalle spie dell’OZNA, lo arrestano a casa del colonnello Salvatore di Caro, già rifugiatosi a Trieste con mezzi pubblici. L’OZNA è il servizio segreto di Tito; la sigla significa “Odeljenje za Zaštitu NAroda”, cioè: Comitato per la difesa del popolo. Da varie fonti si sa che c’era una corriera, o un camion, per portare gli sfollati di Fiume a Trieste, come ha ricordato Miranda Brussich.

Si sa che a Fiume don Janni Sabucco aveva incontrato Gigante nel rifugio Nido Luisa d’Annunzio, ai primi di maggio 1945 (…si chiamava Fiume, p. 8). Lo trova assai sereno. “Intanto lei se ne vada, senatore, gli disse il Sabucco – gli automezzi sono in via Manzoni, non si fidi a rimanere qui”. Riccardo Gigante gli risponde: “Non ho nessun conto da rendere, bisogna che divida la sorte della mia città”. Non immaginava la furia etnica che sarebbe scoppiata con estrema violenza nella città ridotta ormai al lumicino. Al mattino del 4 maggio lo stesso don Sabucco vede Riccardo Gigante risalire via Trieste, seminudo, coi polsi sanguinanti legati con il filo spinato dietro alla schiena, sotto il controllo dei titini - come riportano il già citato don Sabucco, a pag. 8 e don Torcoletti a pag. 297 del suo libro. Poco dopo il senatore è visto anche da Felice Derenzini, in mezzo ad un gruppo di prigionieri. “Mi sembra che andremo molto lontano”, gli disse Riccardo Gigante fissandolo negli occhi (vedi: Burich, pp. 99-100).

Immagine a fianco: la copertina della pubblicazione di don Janni Sabucco, edita nel 1953 (Coll. Angela Sabucco).

Don Sabucco elenca alcune persone note di Fiume “all’improvviso eliminate” dalle bande di Tito, come il senatore Icilio Bacich, il dott. Mario Blasich, l’ingegnere Giovanni Rubinich, Simcich di Borgomarina, il preside Sirola, la madre e figlia Sennis, il direttore della «Fiume» Ancona, la signora Pagan su ricatto e la famiglia di Carlo Colussi. “I loro cari non sanno neppure dove sono le loro tombe” (… si chiamava Fiume, p. 9).

Don Sabucco è pure testimone di una sfilata di “spauriti carabinieri italiani, denudati e con i polsi legati col filo di ferro dietro alle spalle che salgono la lunga via Trieste, colpevoli solo di indossare panni militari che fanno gola a qualche graduato semianalfabeta che vuole avanzare nella carriera con spietatezza” (… si chiamava Fiume, p. 11). La soppressione ordita dai titini con il colpo alla nuca, in questo caso avviene “vicino alla struttura di cemento di un bunker; per poi tornare in città cantando una patetica canzone su Tito violetta bianca…”. Proprio via Trieste è un sito che ritorna in una sua poesia del 1945: “Con le mani nude e il cifrario nel cuore / strapperemo le corazze e i bacilli dell’odio / agli uomini del baccanale di sangue coagulato / sull’asfalto sgretolato di via Trieste”. È intitolata significativamente Ricordo di un massacro a guerra finita (Ascensione 1945). Centinaia di italiani prigionieri dei titini sono ammassati nelle sfilate lungo via Trieste, tanto da lasciare un baccanale di sangue coagulato sull’asfalto. I catturati diretti alla foiba, o alle fosse comuni, sanguinano per le percosse e perché mani, polsi e braccia sono legati col filo spinato. Certo è sconvolgente vedere la violenza slavo comunista elevata a poesia (vedi: Geografia d’occasione, p. 38), ma per don Sabucco quelle sfilate di morituri prigionieri dell’OZNA, potrebbero essere assimilate alla Via Crucis, con i dovuti distinguo. Foto sotto: Udine, Tempio Ossario, tumulazione dei sette caduti di Castua, 2018. Foto E. Varutti.


La fossa di Castua - Di solito i titini a Fiume gettavano i cadaveri degli italiani eliminati nella Fiumara. Si è letto, tuttavia, che una dozzina di italiani, legati col filo di ferro (“el fil de trinca”, in dialetto istro-veneto) sono spintonati e bastonati dai titini fino a Castua, a una dozzina di chilometri da Fiume, oggi in Croazia. Furono presi a calci e pugni fino a rompere loro qualche arto. Sono stati Alessandro Fulloni sul «Corriere della Sera» e Lucia Bellaspiga su «L’Avvenire» a riferirlo, nel 2018. C’è chi ha detto che furono costretti a scavarsi la fossa dove furono seppelliti, ma altre fonti narrano che fu utilizzato un trincerone anticarro che i nazisti della Organizzazione TODT avevano ordinato di scavare ai requisiti locali, donne, ragazzi e vecchi, nel vano tentativo di bloccare l’avanzata dei carri armati iugoslavi.

Uno dei prigionieri di Castua, per provare a sollevare l’animo dei catturati, gridò a squarciagola: “Viva l’Italia! Viva l’Italia!”. Secondo il racconto, era egli il giornalista Nicola Marzucco, detto Nicolino. I resti di sette di quei trucidati, uccisi dai partigiani titini, sono rientrati in Italia il 20 ottobre 2018, proprio a Udine e riposano nel Tempio Ossario. Solo le spoglie del senatore Gigante, riconosciute col test del DNA, sono state traslate nel 2020 al Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera (BS), per volontà dei discendenti. A ritrovare le salme sono stati gli agenti del Commissariato generale per le onoranze ai caduti. Tale ente del Ministero della Difesa si occupa dell’identificazione delle spoglie dei militari italiani morti nelle guerre e del loro rientro in patria. Per detto ente i resti umani sono di ignoti. I corpi dei caduti di Castua sono stati esumati nel mese di luglio 2018 dalle autorità croate, durante una campagna di scavo iniziata dopo una segnalazione, risalente al 1992, effettuata dalla Società di Studi Fiumani, con sede in Roma, con segretario Marino Micich. Erano nel bosco di Loza, in località Crekvina, vicino a Castua.

Grazie agli accordi tra Italia e Croazia si è potuto verificare il rientro delle sette salme nel 2018. Ciò è dovuto alla buona collaborazione tra l’ufficio di Onorcaduti, diretto dal generale Alessandro Veltri, con gli omologhi del “Ministry for Croatian Veterans for Detainees and Missing Persons”. Molto interessante è tale collaborazione tra italiani e croati. Potrà condurre a nuove indagini a Fiume e in certe zone della Dalmazia e dell’Istria. Sono questi i luoghi della tragedia delle foibe. Tali uccisioni e eliminazioni durante il conflitto e nei mesi successivi ad esso provocò la scomparsa di circa 12 mila italiani, per la pulizia etnica titina. Si è cercato di stabilire il nome dei trucidati. Uno dei nomi su cui c’è ormai la ragionevole certezza della sua identità, come accennato, è quello di Riccardo Gigante. Egli era senatore del Regno, ma anche ex sindaco ed ex podestà di Fiume, stretto collaboratore di Gabriele D’Annunzio e, infine, repubblicano di Salò.

Altri due individui possibilmente riconosciuti, come accennato, sono il giornalista Nicola Marzucco e il vicebrigadiere dei carabinieri Alberto Diana. Nella fossa furono gettate dagli slavi anche delle ossa di animali. Questo era un misero stratagemma titino per mescolare le carte, in caso di una esumazione e della scoperta degli omicidi efferati.

La buca fu localizzata nel 1992 da Amleto Ballarini, già presidente della Società di Studi Fiumani. Egli raccolse il primo racconto di don Franjo Jurcevic, parroco della chiesa di Sant’Elena a Castua. Il prete conosceva i fatti poiché gli erano stati riferiti da alcuni fedeli. Altre informazioni fondamentali giunsero dai racconti della moglie e di due figlie di Vito Butti, uno dei trucidati di Castua. Era egli un maresciallo della Guardia di finanza. Fu l’unico di cui, tempo dopo, vennero recuperate le spoglie mortali, per tumularle in un cimitero vicino. Tuttavia c’è da dire che già le mlecarize (lattivendole, dal croato: mljekarice), i villici di Castua e dei dintorni portano la notizia di quell’eccidio a Fiume sin dal dopoguerra (Torcoletti, p. 195). Foto sotto: Il Tempio Ossario di Udine in una cartolina del 1968.

La foiba di Costrena – Nei pressi di Sussak, vicino a Fiume, c’era la voragine di Costrena (Kostrena, in croato) con centinaia di vittime, come hanno riportato, nel 2002, Amleto Ballarini e Mihael Sobolevski, a pag. 94 di un loro studio. “Nell’immediato dopoguerra – hanno scritto tali autori – sarebbero stati uccisi in quel luogo militari tedeschi e italiani, civili prelevati a Fiume e anche il parroco di Sussak don Viktor Bubanj”. Il baratro, detto anche foiba, fu fatto saltare con l’esplosivo nel 1946 dagli iugoslavi, a causa del fetore di putrefazione che esalava. Gli stessi autori accennano ad altri religiosi liquidati dai partigiani slavi, o dispersi, come don Marcellino di Abbazia, benedettino, cappellano dell’Ospedale militare, sparito nel 1945. Poi c’è don Simone, arrestato nel maggio del 1945; è il cappellano militare dell’ospedale militare di Abbazia, soppresso da parte iugoslava, come pure don Vittorio Perkan. Addirittura don Luigi Kristan è arrestato dai partigiani il 14 agosto 1947 “mentre accompagnava un funerale” e ammazzato nello stesso anno dai titini (A. Ballarini, M. Sobolevski, pp. 257, 375, 467 e 554).

Fiume, e allora la liberazione? - Vari storici e gli autori dell’esodo giuliano dalmata considerano l’ingresso dei titini a Fiume come un’occupazione militare senza colpo ferire, così ha scritto Rodolfo Decleva, nel 2020. Altri storici (balcanici o marxisti) la considerano una liberazione dal nazifascismo. Si pensi che certi reparti partigiani slavi erano già sbarcati sul litorale di Mattuglie e Laurana, partiti da Porto Re, accerchiando così Fiume. C’è da dire che soprattutto i titini dal 1° maggio avevano ormai vinto la Corsa per Trieste, anticipando le autoblindo neozelandesi provenienti dal litorale veneto e friulano. Per circa 40 giorni Gorizia, Monfalcone, Pola e Trieste si trovano sotto una ferrea oppressione titina. Ciò provoca pestaggi, arresti e sparatorie contro chi avesse rivendicato l’italianità di quelle zone. Solo dal 12 giugno 1945 nei suddetti territori entrano gli alleati (a Pola il 20 giugno), ma i titini avevano praticato già migliaia di arresti di militari e civili italiani, con conseguente deportazione nelle prigioni iugoslave e uccisione nelle foibe, o nelle cave, o nelle caverne. Fiume e Zara restano sotto il controllo iugoslavo, premessa della futura annessione avvenuta nel 1947, che comprenderà pure l’Istria.

Flavio Fiorentin, esule da Fiume e presidente del Consiglio dei Revisori dei conti del Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD, ci ha scritto sul tema: “Vorrei precisare che l’Organizzazione TODT faceva scavare trinceroni o blocchi stradali nei dintorni ed alla periferia di Fiume nell’ultimo mese di presenza tedesca in città non tanto per bloccare carri armati titini (peraltro simbolici o inesistenti), ma piuttosto per confondere il nemico sui punti in cui i tedeschi avrebbero opposto resistenza e tentare invece lo sganciamento improvviso per confluire in Trieste ed attendervi l’arrivo degli anglo-americani.

Le squadre di lavoro erano formate da giovani e uomini reclutati anche e soprattutto in Fiume tra quanti non avevano un lavoro od una occupazione essenziale. Ad esempio ne faceva parte il portinaio dello stabile dove abitava la mia famiglia. Era anche un modo per tener impegnate persone tra le quali avrebbero potuto nascondersi partigiani e terroristi. Alle cinque le squadre dei lavoratori rientravano in città scortate da pochi ed anziani soldati tedeschi e si scioglievano in piazza Dante dopo aver disceso la scalinata cantando, sull’aria di una marcia tedesca, il seguente ritornello: ‘Fiumani demoghèla, / La vita xe più bela! / Ribaltòn, ribaltòn / ghe molèmo sto bidòn. / Viva el ribaltòn!’ [demoghela, ovvero “diamogliela a gambe”, “scappiamo”, era il grido di sopravvivenza del Reggimento austroungarico di fanteria n° 97, con arruolati del litorale, destinati nel 1914 in Galizia, contro i Russi, ripreso qui in associazione al Ribaltòn, ovvero il ribaltone politico militare dell’8 settembre 1943, NdA].

I soldati di scorta, ritenendo si trattasse della traduzione italiana della loro marcetta, scendevano la scalinata tutti impettiti. Con riguardo al senatore Gigante, residente di fronte al palazzo in cui abitavo con i miei genitori, egli scriveva spesso articoli sul quotidiano cittadino «La Vedetta d'Italia». All'inizio del 1944, deluso per l’assenza delle truppe italiane ricostituite nell’area del Quarnaro (ad eccezione di alcuni reparti della X Mas) e per il progressivo controllo tedesco anche sulla Amministrazione civile, scrisse un forte articolo dal titolo significativo "Se ci sei, batti un colpo". Solamente il 3 maggio 1945, dopo la ritirata notturna dei tedeschi verso Trieste, le truppe titine scesero in città ed all’alba dello stesso giorno l’OZNA venne ad arrestare il senatore Gigante, che aveva rifiutato di abbandonare Fiume.

Prima di seguire gli agenti egli, che era ancora in pigiama, chiese di potersi vestire ed indossò la divisa fascista. È probabile quindi che fosse proprio lui ad essere particolarmente martirizzato nell’ultima camminata verso il luogo dell’esecuzione. Tutto ciò l’abbiamo saputo dal racconto della vedova. Con i migliori saluti. Flavio Fiorentin”.

La sfilata dei prigionieri italiani, fascisti, o presunti tali, sottoposti a violenze varie, deve essere stato un chiodo fisso per la propaganda dei miliziani dell’OZNA. Pure l’ingegnere Alberto Picchiani, prigioniero dei titini è fatto sfilare in gruppo con altri italiani per Arsia, prima di essere soppresso nella foiba di Vines il 5 ottobre 1943, come dal racconto del figlio Roberto.

È così pure per i sette infoibati della famiglia Chialich di Dignano d’Istria (italianizzato Chiali e, in grafia croata, Chialić), come ha detto Maria Chialich vedova Pustetto. “Mia zia Anna Chialich, detta Aniza (Anica, in grafia croata) – ha detto Anna Maria L. – mi raccontava che nella famiglia del mio ramo materno abbiamo sette persone uccise e gettate nella foiba. È successo dal 1943 in poi. Sono stati uccisi gli zii di mia madre, che si chiamava Caterina Chialich, nata a Pola nel 1928. Erano il farmacista, il medico, il notaio… Erano una famiglia facoltosa. Sono stati presi prigionieri di notte da bande di partigiani. Hanno dovuto bere il gasolio e sono stati torturati in piazza con dei salti sulle pance gonfie e poi portati sull’altipiano. Legati polso a polso dicevano al primo di buttarsi giù, con la pistola alla tempia. Qualcuno è finito nella foiba che era ancor vivo. Mi hanno detto che sono rimasti vivi nella cavità per giorni, perché si sentivano i loro lamenti”. Della sfilata dei Chialich in piazza a Dignano con tutte le violenze titine connesse ne parla pure Flaminio Rocchi, a p. 538.

Fotografia sotto: Pola 1946, manifestazione per l’Italia contro l’annessione alla Jugoslavia. Foto diffusa da Novella Bačić, in Facebook, il 27 dicembre 2020.

I titini e don Luigi Polano - In seguito all’arrivo dei titini don Luigi Polano organizza un Comitato fiumano in via S. Nicolò. Un prete dell’esodo fiumano è don Polano, nato nel 1904 a San Daniele del Friuli, in provincia di Udine. Ordinato sacerdote a Udine nel 1927, fu cappellano di Ampezzo, Colza e Maiaso (in Carnia) e cappellano e poi vicario di Blessano (UD). Lasciò la Diocesi di Udine nel 1935 e s’incardinò in quella di Fiume, nel golfo del Quarnaro. Pedinato dall’OZNA, subì il “sequestro e la confisca dei beni” da parte titina. Dopo l’esodo del 1945 fu in servizio in veste di cappellano di bordo sulle navi che portavano i profughi istriani in America. Negli ultimi anni del suo servizio sacerdotale fu premiato con la nomina a Monsignore. Ricoverato all’Ospedale Civile di Udine, morì il 6 gennaio 1955 (Vedi: Arcidiocesi di Udine, Stato del personale del clero, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1934-1955).

Nel 2009 così viene descritto questo originale religioso: “Don Polano divenne subito uno degli obbiettivi degli slavi e fu condannato a morte. Riuscì a sfuggire alla cattura e raggiunse la sorella a Trieste. Ma neanche qua ebbe pace. Gli jugoslavi cercarono di catturarlo ben due volte. Raggiunse allora la sua città natale, San Daniele. Era in salvo” (tratto da: polanopedia.blogspot.com).

Don Polano è stato insegnante di religione all’Istituto Nautico di Fiume, cappellano e quindi parroco della Chiesa di S. Antonio a Borgomarina e quindi nella chiesa del SS. Redentore (la stessa dove opera don Janni Sabucco), anzi fu proprio Lui il promotore dell’erezione di questo ultimo tempio. Nel triste periodo successivo il giorno 8 settembre 1943 aveva compreso la situazione e cercato d’agire in conseguenza per salvare il salvabile. Creò con pochi animosi la F.A.I. (Federazione Autonoma Italiana). Per merito di don Polano, la F.A.I. fiumana fu in contatto con i movimenti partigiani anticomunisti di Trieste e del Friuli. Purtroppo l’opera di don Polano fu frustrata dall’avversità degli eventi ed anche dalla miopia politica di chi lo circondava. Fu Lui, il 3 maggio 1945, ad organizzare la presa di possesso degli edifici pubblici, dei magazzini ed altre opere di pubblica utilità da parte di forze regolari italiane la notte dell’evacuazione della Città da parte dei Tedeschi e fu Lui a fare innalzare sul Municipio di Fiume, in quelle tragiche ore, il tricolore d’Italia. Nel tremendo periodo seguito all’occupazione, dopo essere sfuggito alla cattura da parte dei titini, che l’avevano condannato a morte, riuscì a riparare a Trieste presso la sorella. Anche nella città giuliana i titini tentarono due volte di catturarlo. Rifugiatosi da ultimo nella natia San Daniele, fu insegnante di religione in quelle scuole professionali e quindi cappellano sui transatlantici che trasportavano gli emigranti italiani nelle due Americhe (Vedi: «Bollettino» della Lega Fiumana, aderente al Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD, n. 22 del 21 settembre 1959).

A Fiume, dopo l’8 settembre 1943 (“el ribaltòn”) e, soprattutto, in seguito alla fuga dei nazisti il 2 maggio 1945, si sa che don Polano si impegna molto sul piano politico, lasciando a don Janni Sabucco, nella stessa parrocchia del SS.mo Redentore, il compito di celebrare i matrimoni, i funerali e i battesimi, come ha riferito ad Angela Sabucco il signor Mario Sirola, che è stato il suo primo chierichetto.

Ecco un commento sul tema di Rodolfo Decleva: “Nel mattino del 3 Maggio 1945 mi sorpresi positivamente nel vedere i nostri soldati in Via Roma di guardia a due mine anticarro, lasciate dai tedeschi fuggiti durante la notte. Erano finanzieri con l’elmetto, e tenevano il fucile appeso con la cinghia sulla spalla e la canna in giù. Erano tranquilli nel loro servizio di guardia ai due ordigni. Le loro divise erano disordinate e pensai che dovessero trattarsi di soldati imboscati dopo l’8 Settembre che ora erano riapparsi. Ma allora c’era di nuovo la nostra Italia che aveva ripreso il comando della nostra città?

Purtroppo la gioia si dissolse quando di lì a poco salirono dal confine della Fiumara i Partigiani di Tito e li arrestarono insieme ad un loro ufficiale, rinchiudendoli nella adiacente Caserma dei Carabinieri di fronte al Rifugio antiaereo. Quei tre Finanzieri facevano parte del racconto […]: «Fu Lui (Don Polano), il 3 maggio 1945 ad organizzare la presa di possesso degli edifici pubblici, dei magazzini ed altre opere di pubblica utilità da parte di forze regolari italiane». Io li ho visti e quei tre poveri nostri soldati hanno immolato la loro vita per la nostra città. Se in via Roma ce ne erano tre, quanti Finanzieri e di altre armi furono impiegati, facendo la stessa fine? Come mai in tanti anni del nostro esodo nessuno ne ha parlato e tuttora non se ne parla?”.

Foto sotto: Mons. Felice Odorizzi, prete dell’esodo, firma una dichiarazione per atto di nascita di Bruno Satti, del 1904, “nell’impossibilità di avere dalla Jugoslavia l’atto originale”. Documento datato a Bolzano nel 1962, per il Campo profughi di Laives, dove stava il Satti, con altri 3000 esuli; tale Crp non è citato da padre Flaminio Rocchi. Coll. Sergio Satti, Udine.


Carceri titine e esodo da Fiume - Riguardo al clero di Fiume si accenna al fatto che don Torcoletti e don Pavan sono menzionati nelle poesie in dialetto fiumano di Gianni Angelo Grohovaz. L’OZNA fa arrestare pure diversi preti, oltre a civili e militari italiani. È il tale Oscar Piskulic, detto "Zuti" (il giallo) a comandare i reparti dell’OZNA a Fiume fino al 1947, mentre Pietro Klausbergher è al comando del Comitato Popolare Cittadino, che, secondo certe fonti era peggio dell’OZNA, nei reparti della quale c’erano pure dei fascisti convertiti (vedi: Ballarini 1986, p. 149).

La sede dell’OZNA a Fiume è in piazza Scarpa, nel palazzo che fu sede del Consolato iugoslavo e rappresentanza della Croazia ustascia, già casa Milidragovich, del 1802, secondo il libro di Dassovich del 1975. Guarda caso il pianterreno è occupato dalla sede del Comitato Popolare Cittadino, mentre ai piani superiori è tutto un pullulare di spie. Nel liberare un certo prigioniero gli agenti dell’OZNA, infatti, gli imponevano di collaborare per lo stesso servizio segreto, pena il ritorno in cella, o in un lager di Tito. Le tappe del tragitto di molti italiani arrestati sono analoghe. Dopo il passaggio e le angherie negli Uffici di piazza Scarpa, ci sono le carceri di via Roma, i campi d’internamento improvvisati di Sussak, Costrena e Cirquenizza (Dassovich 1975, p. 169). Si pensi che circa 700 furono i fiumani che spariscono e finiscono probabilmente nella Foiba di Costrena. È Orietta Moscarda ad affermare, nel 2021, che: “L’OZNA era l’organo di intelligence e fu collegata alle violenze tra guerra e secondo dopoguerra, in quanto era il braccio armato della rivoluzione comunista iugoslava” (vedi: Stella Defranza).

Mons. Alojzije Viktor Stepinac, arcivescovo di Zagabria, viene relegato nel campo di concentramento iugoslavo di Lepoglava (1946-1951), vecchio carcere asburgico, con l’accusa di collusione col regime ustascia. Nello stesso lager titino è rinchiuso pure lo zaratino Antonio Cattalini, padre di Silvio, per 45 anni presidente dell’ANVGD di Udine. Antonio Cattalini, classe 1895, è arrestato e imprigionato dai titini per tre lunghi anni di lavori forzati “per collaborazionismo coi tedeschi – ha spiegato il figlio – ma i tedeschi se non se lavorava per lori i te copava subito, tocava armarghe le navi in cantier”.

Secondo la testimonianza di Angela Sabucco, nel 2017, Bruno Tardivelli, di Fiume e Danica Glazar, di Sussak, detta Dania, hanno festeggiato il 70° anniversario del loro matrimonio avvenuto a Fiume il giorno 11 giugno 1947 nella Chiesa Votiva del SS.mo Redentore del Rione Mlacca, poi distrutta con l’esplosivo, nel 1949, dai titini. Ha officiato il Rito il parroco Janni Sabucco, assistito dal chierichetto (el muleto) Mario Sirola, che cantò alla fine del rito l’Ave Maria. “Ci eravamo sposati in Municipio una settimana prima – è la spiegazione dei coniugi Tardivelli – il matrimonio religioso non era riconosciuto come valido, però a noi sembrava logico ricevere la Benedizione prima di andare a vivere assieme nella nostra casa”. Oggi in Mlacca c’è un parco.

Come ha scritto nel suo libro di memorie, Bruno Tardivelli, classe 1923, lascia Fiume il 7 luglio 1949 e va esule a Genova, mentre suo fratello Aldo Tradivelli, è destinato malvolentieri al Centro raccolta profughi (Crp) di Laterina nell’inverno del 1948, come ha ricordato Claudio Ausilio, pur non essendo annotato nell’Elenco Profughi Giuliani del Comune di Laterina. I Tardivelli passano per il Crp del Silos a Trieste e per il Centro smistamento profughi (Csp) di Udine. È un tragitto noto e citato pure nella recente ricerca storica dell’esodo (A. Ballarini, G. Stelli…, 2015).

Massimo Speciari, nel 2015, ha scritto nel suo blog che la chiesa del SS.mo Redentore fu fatta saltare con la dinamite nel 1949 dai partigiani comunisti di Tito “Io l'ho vista quando era ancora in piedi e poi distrutta, e nel posto hanno messo un busto di bronzo di Tito. I Fiumani dicevano che i responsabili del fatto hanno avuto una morte tragica”. Sul tema vedi pure: Patrizia Venucci Merdžo.

Foto sopra: Documento di scarcerazione di Giuseppe Baucon, Archivio di Stato di Lubiana, Dipartimento per la Difesa della Nazione Ozna per la Slovenia, Ministero della Difesa Nazionale Jugoslava, 5 settembre 1946, pp. 3+traduzione. Collezione Marija Oseli, S. Giovanni al Natisone (UD).

Preti fiumani in esilio a Pisa. Prima dell’esodo da Fiume don Janni Sabucco, allora giovane sacerdote, subisce l’arresto, l’umiliazione e la tortura comunista. È sottoposto a uno stringente interrogatorio durato più giorni con una lampada fissa davanti agli occhi, che gli causa un grave danno corneale. Si sa che nelle ultime sue Sante Messe celebrate a Fiume, nel 1947-1948, partecipavano due agenti dell’OZNA in borghese, piazzati in fondo alla chiesa per controllare cosa dicesse nelle omelie in lingua italiana. Dopo la metà di marzo 1948 don Sabucco passa il confine a Basovizza (allora nel Territorio Libero di Trieste), subendo una “umiliante visita” dei titini su tutto il corpo, oltre che nel baule (…si chiamava Fiume, p. 23). Come ha detto Angela Sabucco nella Jugoslavia di Tito, come a tutto il clero italiano, era stata tolta la tessera annonaria necessaria per trovare il cibo, perciò suo zio prete viveva di elemosine. Ecco cosa scrive egli nel suo libro di poesie: “Dal 1944 al 1948 sono passato attraverso il terrore; ne sono uscito che pesavo 46 chili. Bisogna sapere cosa voglia dire il suono del campanello di casa dopo le dieci di sera” (Geografia d’occasione, p. 58). Si sa che il terrore dell’OZNA contro gli italiani a Fiume, in Istria e in Dalmazia, si manifestava con perquisizioni, arresti notturni e deportazioni, in modo che la gente non vedesse cosa stava accadendo. Anche la partenza per l’esodo, se fosse avvenuta con il treno, era sempre in piena notte, per lo stesso motivo. Don Janni Sabucco è prelevato dagli agenti dell’OZNA alle ore tre del mattino, come sa la nipote Angela.

Il Vescovo Camozzo pensa bene, prima di immetterlo nuovamente nella pastorale attiva, di concedergli un intero anno di riposo presso don Tilli, parroco di San Benedetto a Settimo, frazione del comune di Cascina (PI). La Parrocchia di San Benedetto ha come Patrona principale Santa Lucia: ogni anno moltissimi fedeli convergono a quella chiesa per la tradizionale benedizione degli occhi. Ovviamente don Sabucco ne diviene fedele devotissimo ottenendo, grazie all’intercessione della Santa e alla perizia dei medici, il dono di una (parziale) guarigione. Fa voto quindi, qualora fosse stato nominato parroco, di dedicare un quadro a S. Lucia e di promuoverne la devozione. Così, nominato Parroco di Forte dei Marmi (LU), ricordando il voto, commissiona il quadro e sceglie una ragazzina di paese come modella: Paola Paolicchi, che fino al 2019 è stata presente alla tradizionale festa della Santa.

Il 15 giugno 1947 è costituita a Roma la prima Lega degli esuli fiumani, cui fanno seguito analoghe aggregazioni in altre città, come a Napoli e a Udine, dove ne è artefice l’architetto Carlo Leopoldo Conighi, che cura la stampa di un Bollettino ciclostilato, oltre a dare assistenza ai profughi.

Nel mese di agosto del 1947 Mons. Ugo Camozzo, vescovo di Fiume, su ordine della Santa Sede, lascia il Golfo del Quarnaro. Affida la diocesi ad un prelato di lingua croata, ritirandosi nel seminario di Venezia. Dedica la sua ultima Lettera pastorale ai concittadini del Quarnaro e a quelli profughi nei vari Centri raccolta d’Italia, o presso famiglie di parenti. Secondo i dati (del 1956) dell’Opera di assistenza ai profughi i fuoriusciti da Fiume sono 31.840 (su 53.896 residenti al censimento del 1936), ai quali si aggiunga un 20% di coloro che non sono stati censiti dall’ente assistenziale. A Venezia Mons. Camozzo riceve la nomina a Vescovo di Pisa e nella sua prima lettera pastorale alla diocesi pisana cita i suoi fiumani: “Li ho ritrovati, pellegrinando di città in città, alcuni sistemati alla meglio, altri raminghi, spesso nella miseria o nei tristi centri di raccolta dei profughi, non di rado non compresi e ostacolati; ma fieri e dignitosi nel loro sacrificio, rischiarato da una luce che vuol essere di speranza che non muore”. Foto sotto: Fiume, tempio votivo del SS.mo Redentore, progetto dell’architetto Virgilio Vallot, 1942, distrutto dai titini con l’esplosivo.


Il vescovo Camozzo si porta in Toscana tutta una covata, come ha detto Valentina Zucchetti, sua fedele parrocchiana (vedi: Oscar Perich 2005, p. 14). I 24 sacerdoti e seminaristi esuli a Pisa con il vescovo Camozzo sono: Giovanni Cenghia, Clemente Crisman, Egido Crisman, Alberto Cvecich, Severino Dianich, Vittorio Ferian, Gabriele Gelussi, Floriano Grubesich, Mario Maracich, Rino Peressini, Fulvio Parisotto, Giuseppe Percich, Oscar Perich, Ariele Pillepich, Francesco Pockaj, Antonio Radovani, Giovanni Regalati, Aldo Rossini, Arsenio Russi, Janni Sabucco, Giovanni Slavich, Giacomo Desiderio Sovrano, Giuseppe Stagni e Romeo Vio.

Soltanto quattro di questi sacerdoti sono ancora viventi: si tratta di Mons. Egidio Crisman, Mons. Severino Dianich, Mons. Giuseppe Percich e don Romeo Vio. Sono stati parroci molto attivi. Due sono andati in missione secondo lo spirito della «Fidei donum»: don Rino Peressini e don Antonio Radovani. Mons. Giovanni Slavich è stato vicario generale di Mons. Alessandro Plotti. Mons. Alberto Cvecich e Mons. Severino Dianich hanno insegnato teologia. Mons. Egidio Crisman è arciprete della Primaziale Pisana.


Biografia di Mons. Janni Sabucco - Figlio di Raimondo e Angela Bertolissi, Janni Sabucco nasce a Coseano (UD) il 12 gennaio 1916. Frequenta le scuole medie al Seminario di Castellerio di Pagnacco (UD), come riferì egli stesso alla nipote Angela. Compiuti gli studi filosofici e teologici nei Seminari di Venezia e di Fiume (1937-’38), consegue la Licenza in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, dal 1938 al 1940. Come accenna Angela Sabucco, in quel mentre è don Luigi Polano, nativo di San Daniele del Friuli (UD), che desidera portarselo a Fiume, con l’assenso dell’autorità ecclesiale. Don Oscar Perich in effetti ha scritto di averlo avuto come insegnante al Seminario di Fiume dal 1939 al 1942 (“Caro Don Janni”, 2001, p. 9).

Sabucco è ordinato sacerdote nella Cattedrale di Fiume da S.E. Mons. Ugo Camozzo il 28 giugno 1942. È cappellano nella chiesa del SS. Redentore a Fiume, con don Luigi Polano, parroco. Esule nell’Arcidiocesi di Pisa nel 1948, con l’Arcivescovo Camozzo (già fuoriuscito nel 1947), è Cappellano nella parrocchia di San Benedetto a Settimo (PI) e Vice Parroco alla Propositura di Pontedera (PI) negli anni 1949-‘50. Dal 28 ottobre 1950 fino al 1957 Vice Parroco di Forte dei Marmi (LU). Dal 1957 al 1996 è Proposto di Sant’Ermete in Forte dei Marmi. Riceve la nomina di Prelato d’Onore di Sua Santità. Nel 1996, per i raggiunti limiti di età e per motivi di salute, lascia il ministero parrocchiale, vivendo in un’abitazione a Forte dei Marmi. Nel settembre 1996 a Cascina (PI) gli viene conferito il premio nazionale “Icilio Felici” che, come di prassi, è assegnato ad un sacerdote la cui azione pastorale si associ ad una qualificata attività letteraria o artistica.

Foto sotto: Mons. Janni Sabucco in avanti con l'età. Coll. Angela Sabucco.


Muore nelle prime ore del 26 giugno 2001 all’Ospedale civile di Viareggio (LU), dove era ricoverato da alcuni giorni. Dopo una celebrazione eucaristica presieduta dal Mons. Arcivescovo, la sera del 27 giugno, le sue esequie sono state celebrate il giorno successivo da S.E. Mons. Riccardo Fontana, Arcivescovo di Spoleto e Norcia, originario di Forte dei Marmi, nella chiesa di Forte dei Marmi alla presenza di molti sacerdoti e di una gran folla di fedeli. La salma di Mons. Sabucco è stata tumulata nel cimitero di Forte dei Marmi. Il Comune di Forte dei Marmi (provincia di Lucca, ma diocesi di Pisa), in ricordo di Mons. Janni Sabucco, che ha retto la parrocchia per quasi 40 anni, ha voluto intitolargli una piazza che si affaccia su via Idone.

Il presente profilo biografico è prevalentemente contenuto nel testo a cura dell’Arcidiocesi di Pisa. Altre notizie e vari dati su Mons. Janni Sabucco sono stati ripresi dalle fonti orali e dagli scritti nel web, del 2020, di Mons. Piero Malvaldi, della Propositura di Sant’Ermete in Forte dei Marmi (LU) – Vicariato Della Versilia; vedi il sito: https://chiesadelforte.it/

La poetica di Mons. Janni Sabucco - Il priore di Forte dei Marmi ha scritto alcuni libri di poesie, a dispetto di quanto sentenziava Giosuè Carducci: “Donne e preti non son poeti”. Da tali composizioni si comprende l’uomo di profonda cultura e di etica pura. La prima silloge, a versi liberi, di don Sabucco è datata 1942 ed è intitolata Quadri di M. Campigli. Egli sa spaziare dall’estetica teologica alla storia dell’arte. Eccone le parole: “Bambole etrusche / con l’impenetrabile sorriso / e la loro magra policromia / intente / gracili / e caldi / e imperituri / flauti di coccio” (Geografia d’occasione, p. 7). Amava il teatro, come Bruno Tardivelli, e le sue frequentazioni, nonostante l’accusa di essere burbero e forastico, erano tra i personaggi illustri della letteratura e dell’arte italiana: Bruno Cicognani, Giovanni Papini, Enrico Pea e Guido Gabrielli.

Certe sue odi sono dedicate al popolo d’Israele, nell’ottica del dialogo con i “fratelli maggiori”, ma anche a Pasolini, a papa Luciani. La sua potenza estetica ricorda i versi di padre David Maria Turoldo, suo conterraneo. Le sue parole sono ricche di umanità. È una poetica chiara e comprensibile, come lo sono state certe sue azioni. Si dice che siano state antesignane del Concilio, come quando si metteva a tradurre in italiano le parole latine di un rito religioso, perché tutti gli astanti capissero. “Le sue omelie anticipavano il Concilio – ha scritto Valentina Zucchetti, p. 2 – ricche di fede e di esempi concreti, sembrava avvertissero la necessita di certe riforme”. Si veda in merito anche don Oscar Perich, 2001, p. 9. Foto sotto: Ricevuta di Giuseppe Privileggio per risarcimento spese viaggio per materiale CRI, 1948. Documento del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara, sede regionale di Udine. Archivio ANVGD Udine.


Conclusioni – La complessità culturale e linguistica delle aree di frontiera si affronta meglio col rispetto reciproco, la convivenza civile e democratica o solo cambiando toponomastica, imponendo idiomi nazionalistici, chiudendo scuole altrui e mettendo proprie bandiere sul municipio, sorto su antiche vestigia Romane? A tale domanda non saprebbe rispondere nemmeno un dotto conferenziere, come Claudio Magris, che ha scritto: “Ma mi, perché parlo italian? Domanda una donna a Cherso, ignara da dove le arrivino queste parole che escono da lei e per lei sono un tutt’uno con le cose, fiduciosa che il conferenziere venuto da Trieste, e ospitato dal circolo della Comunità italiana a casa sua, possa darle una spiegazione. (…) Un Sintich, a Miholaščica (San Michele), contesta il parroco nazionalista croato che non vuol sentire cantare in italiano in chiesa e intona ‘Mira il tuo popolo’ , chiedendo poi a un ospite dell’osteria vicina il significato di alcune parole di quell’inno (Microcosmi, 1997, p. 158).


Fonti orali e digitali - Le interviste (int.) sono state condotte da Elio Varutti a Udine con penna, taccuino e macchina fotografica, se non altrimenti indicato. Un sentito ringraziamento vada agli intervistati e ai proprietari delle collezioni familiari per la cortesia dimostrata nella ricerca presente.

- Claudio Ausilio, Fiume 1948, esule a Montevarchi, provincia di Arezzo, int. al telefono del 22 e 24 aprile 2021.

- Miranda Brussich vedova Conighi (Pola 1919 – Ferrara 2013), esule da Fiume, int. a Ferrara del 17 agosto 2003 con Daniela Conighi.

- Silvio Cattalini (Zara 1927 – Udine 2017), int. del 24 novembre 2015.

- Maria Chialich vedova Pustetto, Dignano d’Istria (Pola 1919 – Udine 2010), int. del 27 gennaio 2004. Sulle vicende tragiche di tale famiglia, c’è un’altra fonte orale, Anna Maria L. istriana, Tolmezzo, UD, 1963, che ha vissuto negli anni ‘60 a Pola coi nonni, cugini e zii Chialich rimasti, int. del 15 dicembre 2010.

- Rodolfo Decleva, Fiume 1929, Don Luigi Polano, messaggio su Facebook nel gruppo “Un Fiume di Fiumani” del 3 maggio 2018.

- Flavio Fiorentin, Verteneglio (PL) 1935, con avi paterni di Veglia, esule da Fiume a Udine, email del 22 ottobre 2018.

- Roberto Luis Picchiani di Borbone, Arsia (Albona) 1941, esule a Forte dei Marmi (LU), int. telef. dei giorni 1, 9 e 11 giugno 2020 ed email del 12 giugno 2020, con la collaborazione di Claudio Ausilio.

- Angela Sabucco, Udine 1960, int. del 12 e del 24 aprile 2021.

- Aldo Tardivelli (Fiume 1925 – Genova 2020), int. telefonica e per e-mail del 20-24 gennaio 2017, con la collaborazione di Claudio Ausilio.

Foto a fianco: Il Card. Alojzije Stepinac.


Documenti originali

- Arcidiocesi di Pisa (a cura di), Sacerdoti di Fiume defunti, testo in Word, 2021, pp. 9.

- Silvio Cattalini, Elogio funebre di Maria Chialich vedova Pustetto, Chiesa di San Giuseppe, Udine 7 settembre 2010, ANVGD, pp.2, datt.

- Valentina Zucchetti, 50 anni! Una vita, una lunga vita di servizio spesa per la comunità, Parrocchia di Sant’Ermete Martire, Forte dei Marmi (LU), pp. 6, ms.


Archivi e Collezioni private – Archivio ANVGD di Udine, ricevute.

Famiglia Conighi, esule da Fiume a Ferrara e Udine, cartoline, pubblicazioni e Bollettino della Lega Fiumana, aderente al Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD.

Marija Oseli, S. Giovanni al Natisone (UD), documento dell’OZNA.

Joseph Pivato, Edmonton, Canada, documenti, fotocopie e testimonianze a Angela Sabucco.

Louise Pivato, Toronto, Canada, documenti, ms e testimonianze a Angela Sabucco.

Angela Sabucco, Udine, fotografie e documenti.

Sergio Satti, esule da Pola a Udine, documenti, dattiloscr.


Bibliografia e sitologia

- Arcidiocesi di Udine, Stato del personale del clero, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1934-1955.

- Amleto Ballarini, L’Olocausta sconosciuta. Vita e morte di una città italiana, Roma, Edizioni Occidentale, 1986.

- Amleto Ballarini, Mihael Sobolevski (a cura di / uredili), Le vittime di nazionalità italiana di Fiume e dintorni (1939-1947) / Žrtve talijanske nacionalnosti u Rijeci i okolici (1939.-1947.), Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 2002.

- Ballarini, Giovanni Stelli, Marino Micich, Emiliano Loria, Venezia Giulia Fiume Dalmazia, le foibe, l’esodo, la memoria, Roma, Associazione per la Cultura Fiumana Istriana e Dalmata nel Lazio, 2015.

- Danilo Battistini, “Tristezze e trasparenze di un uomo-sacerdote”, «Il Dialogo», settembre 1990, p. 16.

- Lucia Bellaspiga, “Foibe. Dopo 73 anni una tomba per le vittime di Tito: ‘Precedente che farà storia", «L’Avvenire», 20 ottobre 2018.

- «Bollettino» della Lega Fiumana, aderente al Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD, n. 22 del 21 settembre 1959.

- Enrico Burich, “Esperienze di un esodo”, «Fiume, rivista di studi fiumani», XI, n. 3-4, luglio-dicembre 1964, pp. 97- 182.

- Mario Dassovich, Itinerario fiumano 1938-1949, supplemento alla rivista «Fiume», Roma, 1975.

- Mario Dassovich, “L’irredentismo di Riccardo Gigante nella testimonianza di Enrico Burich”, «Fiume, rivista di studi fiumani», N.S., IV, ottobre 1985, pp. 15-24.

- Rodolfo Decleva, 2 - 3 maggio 1945. L’occupazione jugoslava di Fiume, testimonianza depositata presso la Società di Studi Fiumani in Roma, 1 ottobre 2020; anche nel web.

- Stella Defranza, “La violenza nel contesto storico e giuridico nell’alto Adriatico”, «La Voce del Popolo», 30 marzo 2021, p. 21.

- Severino Dianich, “Fiume, la Croazia e la memoria degli italiani”, «Europa», Quaderno 3, 2020. Vedi il sito web : https://perfondazione.eu/fiume-la-croazia-e-la-memoria-degli-italiani/

- Alessandro Fulloni, “Foibe, il rientro in Italia di sette martiri: Ammanettati con il filo spinato, obbligati a scavarsi la fossa e poi uccisi”, «Corriere della Sera», 19 ottobre 2018.

- Gianni Angelo Grohovaz, Per ricordar le cose che ricordo, Toronto (Canada), Dufferin Press, 1974.

- Parrocchia di S. Ermete Martire, XXV Anniversario di Sacerdozio del Priore Don Janni Sabucco, Forte dei Marmi, 29 giugno 1967.

- Oscar Perich, “Caro Don Janni”, «Strettoia… la sua gente», X, n. 57, 2001, pp. 8-9.

- Oscar Perich, Don Janni Sabucco. La fragranza del pane. Commento alle letture festive, Pisa, Pacini, 2005.

- Ariele Pillepich, Un sacerdote fiumano ricorda…, Pisa, Pacini Mariotti, 1967.

- Flaminio Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Roma, Associazione Nazionale Difesa Adriatica, 1990.

- Janni Sabucco, si chiamava Fiume, Perugia, «Quaderni di Centro Italia», s.d. [1953].

- J. Sabucco, Geografia d’occasione, Padova, Rebellato, 1967.

- J. Sabucco, Giochi di lanterne a Goa, Udine, La Nuova Base, 1972.

- J. Sabucco, Il mio testamento, Forte dei Marmi (LU), 30 maggio 1973.

- J. Sabucco, Il fondo della madia, Stanghella (PD), Grafiche Dielle, 1990.

- J. Sabucco, Omaggio a un destino, Stanghella (PD), Grafiche Dielle, 1991.

- Bruno Tardivelli, Fiume, la città smarrita, Genova, [s.e.], 2020.

- Il Tempio al SS. Redentore. Sacrario dei Caduti. II anniversario del voto, a cura del Comitato pro Tempio Votivo, Fiume, 1943-XXI.

- Luigi Maria Torcoletti, Fiume ed i paesi limitrofi, Rapallo (GE), Scuola tipogr. S. Girolamo Emiliani, 1954.

- Patrizia Venucci Merdžo, “Quel Tempio votivo cancellato dalla Memoria”, «La Voce del Popolo», 19 gennaio 2020.

Foto a fianco: Fiume, chiesa di S. Antonio, in Borgomarina, 1939.

Coll. privata.


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Ricerca di Elio Varutti (ANVGD Udine) con la partecipazione di Claudio Ausilio (ANVGD Arezzo) e la collaborazione di Guido Giacometti (ANVGD Toscana). Lettori: Angela Sabucco, Enrico Modotti, assieme a Annalisa Vucusa, del Gruppo di lavoro storico-scientifico del Comitato Esecutivo dell’ANVGD di Udine, coordinato dal professor Elio Varutti. Testi e Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – I piano, c/o ACLI – 33100 Udine – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.



Immagine di copertina – Don Janni Sabucco, foto nella tessera della Biblioteca Pontificia Universitaria Gregoriana di Roma, 1939. Coll. Angela Sabucco.



Copertina del fascicolo (qui sopra), di 20 pagine, pubblicato nel 1943 a Fiume per la costruzione del Tempio votivo al SS.mo Redentore con le offerte dei fedeli. La posa della prima pietra avvenne il 14 giugno 1942. Carosello di fotografie (sotto) all’interno del fascicolo stesso (Coll. Conighi).


AGGIORNAMENTO DEL 14 MAGGIO 2021

Vogliamo ringraziare i numerosi lettori che ci hanno fatto i complimenti per questo elaborato, che al 14 maggio 2021 ha totalizzato 431 visualizzazioni nel blog. La copertura nel profilo Facebook di “Anvgd Udine” è stata di 4.635 utenti, con oltre 46 condivisioni. I lettori sono stati soprattutto in Italia (Friuli Venezia Giulia e Toscana in primis), ma pure all’estero, come in Canada, Australia, USA, Francia, Germania, Slovenia e Croazia. Sul portale di LinkedIn l’articolo ha registrato 178 visualizzazioni ed è stato pure diffuso sul sito nazionale dell’ANVGD, nonché nel sito web di "Carta adriatica".

Encomiabile è che alcune autorità di Forte dei Marmi abbiano programmato un convegno in omaggio alla figura del compianto parroco di S. Ermete, Don Janni Sabucco, in occasione del ventennale della scomparsa. L’appuntamento è fissato per sabato 26 giugno 2021, alle ore 11 nel Giardino dei lecci di Villa Bertelli, rispondente alle normative di sicurezza anti-Covid. Organizzatori dell’evento sono Ermindo Tucci, presidente di Villa Bertelli, il polo culturale e artistico del Comune di Forte dei Marmi, unitamente all’Amministrazione comunale, guidata dal sindaco, Bruno Murzi.

Per il presente studio c’è stato l’interesse della stampa, come per i redattori de «La Voce di Fiume» e «Il Tirreno». Franco A. Calotti ha pubblicato il 10 maggio 2021 su «Il Tirreno» un articolo intitolato “Torna a vivere il ricordo di don Janni Sabucco e la sua fuga da Fiume”, in cui menziona questo blog, ma soprattutto il fatto sconvolgente avvenuto a don Janni al confine davanti ai titini, nel 1948, prima di passare nel Territorio Libero di Trieste. “Mi denudarono prima di cacciarmi da Fiume – raccontò il presule commosso – e lo fecero fare da una donna per maggior spregio al sacerdote”. Normalmente era restìo sull’esodo, ma così raccontò don Sabucco, in consiglio comunale, nel 2000, durante i festeggiamenti per i suoi 50 anni di vita pastorale a Forte dei Marmi.

Tra i calorosi ringraziamenti arrivati per il presente studio, ci sono quelli di Emilio Fatovic, presidente dell’Università Popolare di Trieste, di Bruno Bonetti, vicepresidente dell’ANVGD di Udine e di Giorgio Gorlato, esule da Dignano d’Istria, che ha riferito l’arresto del suo babbo. Dopo che i partigiani titini il 3 maggio 1945 le portano via Giovanni, il marito notaio, anche la signora Gorlato, mamma di Giorgio, ha a che fare con gli uffici dell’OZNA di Fiume, nel 1945, non senza aver ricevuto un salvacondotto di Mons. Ugo Camozzo. “Mia madre – ha raccontato Giorgio Gorlato – con grande coraggio si recò successivamente al comando dell’OZNA di Fiume per sapere qualcosa di suo marito. Fu trattata in malo modo e non ottenne alcuna informazione. Da allora non si seppe più nulla di mio padre”.

Eppure proprio il notaio Giovanni Gorlato, come ha scritto Mauro Tonino, ha aiutato le formazioni partigiane di Pola. In particolare “ha collaborato attivamente col Movimento Clandestino di Dignano e precisamente dal novembre 1943 a tutto aprile 1945, fornendo alle stesse, denaro, viveri e indumenti, e, soprattutto, procurando documenti per coloro che avevano bisogno di essi per mascherarsi e non rivelarsi” (Tonino, p. 91). Qualche studioso ha ipotizzato che l’eliminazione del notaio, da tutti benvoluto, fosse dovuta proprio ai suoi contatti e aiuti forniti a formazioni della Resistenza “non comuniste”.

Carlo Cesare Montani, di Fiume, dopo la lettura di questo testo, ci ha inviato il seguente messaggio: “Ricordo perfettamente i campi di lavoro della TODT. Mio padre Amedeo, Commissario di Dogana in servizio a Fiume, era stato ‘precettato’ per partecipare agli improbabili lavori di bunkeraggio sulla collina di Drenova, dove qualche volta, quando il tempo lo consentiva, potei accompagnarlo e dove la squadra era gestita da un vecchio ufficiale tedesco che aveva preso a ben volermi perché ero una strana presenza di ‘volontario’. In effetti, d’accordo con mamma, mio padre amava portarmi con sé per sfuggire al pericolo dei bombardamenti sulla città, all’epoca molto intensi. Mah! (…) Ricordo bene anche la Chiesa del Redentore dove andavamo a Messa, le Suore di Via del Pomerio, il rifugio in fondo alla Via Leonardo da Vinci dove abitavamo (e dove ci piovvero su casa anche le bombe anglo-americane), e tanti luoghi della prima infanzia, oltre a vari personaggi noti e meno noti su cui non mi dilungo. Non ricordo specificamente Don Sabucco, ma so che aveva conosciuto bene il nostro amico Roberto Luis Picchiani, figlio di Alberto (dirigente minerario dell’ACAI - Azienda Carboni Italiani, infoibato dagli slavi), quando era andato esule a Forte dei Marmi dove lo stesso Don Sabucco fu apprezzato parroco”.


Figura a fianco: cartolina della Coll. Conighi.


Cenni bibliografici e fonti aggiuntive – Franco A. Calotti, “Torna a vivere il ricordo di don Janni Sabucco e la sua fuga da Fiume”, «Il Tirreno» Cronaca della Versilia, 10 maggio 2021, p. 17.

- Giorgio Gorlato, Dignano d’Istria 1939, esule a Udine, int. del 1° giugno 2013 e del 2 maggio 2021.

- Carlo Cesare Montani, Fiume 1937, esule a Latina, email del 10 maggio 2021.

- Mauro Tonino, Italiani dimenticati. Viaggio nei drammi del Confine Orientale, Pasian di Prato (UD), L’Orto della Cultura, 2021.

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