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Immagine del redattoreevarutti

Fuga da Pola in barca per Giuseppe Cossa fino ad Ancona, poi al Crp di Pescara, 1947

Aggiornamento: 27 feb 2023

Toglie la bandiera jugoslava all’Arena di Pola e mette quella italiana. Allora i titini gli sparano. Erano i primi giorni del 1947, aiutato da un poliziotto italiano, nella notte, scappa in barca da solo con una girobussola recuperata da un aereo caduto. Finisce sulla riva di Ancona, poi è accolto al Centro raccolta profughi di Pescara, in seguito si sposta nel 1948 a Grado (GO) e a Udine, nel 1949, lavorando al Genio Civile. Ecco l’esodo di Giuseppe Silvano Cossa raccontato in poche parole dal figlio Lucio Cossa, nato il 13 febbraio 1947 a Trieste, quando la sua mamma Nella Ispiro, di Pola, viveva esule nelle baracche sotto il faro La Lanterna, vicino al Centro profughi di Campo Marzio, prima di spostarsi al Centro raccolta profughi di Pescara per raggiungere il marito. Mi racconta questa incredibile vicenda il signor Lucio Cossa, mostrandomi un sacco di documenti di famiglia, così so che il papà Giuseppe Silvano è nato a Pola il 19 aprile 1924 ed è morto a Udine il 5 agosto 2008. Nella foto sotto: Pola, la barca a vela usata per la fuga di Giuseppe Cossa, foto E. Pedrotti, Trento, 1944.


“Mio padre nel 1941 a Pola era un campione di pugilato, un peso leggero – ha aggiunto Lucio Cossa – oltre che pilota d’aereo dal 1942; diplomatosi ragioniere, è assunto al Genio Civile di Pola il 12 novembre 1945, su suggerimento del dottor Pelaschier”. Poi mi mostra dei biglietti scritti dal padre. Giuseppe Cossa, riferendosi all’esodo, in modo critico, scrive in un foglietto che era un “involontario pellegrinaggio democratico”. In qualche caso si lascia prendere dal rancore, come quando scrive a lapis: “Bei tempi: si era orgogliosi di essere italiani!!!! Oggi sono soltanto istriano ben lontano da questi ‘voltagabbana’ taliani”.

Nella foto sotto - Girobussola d’aereo utilizzata da Giuseppe Cossa per la fuga in barca del 1947. Collezione Lucio Cossa.



Nei primi anni ’30 Giuseppe Silvano Cossa frequenta con profitto la scuola elementare “A. Manzoni” di via Premuda a Pola, come risulta dalla pagella piena di giudizi lodevoli e buoni. Consegue il diploma di ragioniere nell’anno scolastico 1941-1942 con i professori Colussi, Vella e il preside Ottorino Biscioni, come riporta «L’Arena di Pola» del 1° settembre 1959.

Nello stesso giornale si possono leggere i nomi dei diplomati all’Istituto Tecnico per ragionieri di Pola dell’anno scolastico 1941-‘42: “alunna Fercovich, preside Biscioni, Urbani; Ive Vidris, Zelco, Tabouret, Dorani, Brautti, Isaia; Aldo Pancirolli, Giuseppe Cossa, Annio Simeone, Luciano Mauro, Giuseppe Colucci, Angelo Hippel” («L’Arena di Pola» del 21 luglio 1959).

Il 4 novembre 1945 a Pola, di fronte al Teatro Cescutti succede un parapiglia tra italiani e filo-titini. Ecco i ricordi di Giuseppe Cossa segnati, pur con linguaggio assai colorito, in uno dei suoi biglietti: “Dopo aver pestato a scopo allenamento un poco de luridi s’ciavi, il 4 nov. 1945 fui notato dal Presidente del C.L.N. [Comitato di Liberazione Nazionale] dr. Pelaschier che assieme al mio maestro di pugilato si gustavano la scena proprio di fronte al teatro Cescutti dove mi stavo divertendo!”. Con la parola “s’ciavo”, in dialetto istro-veneto si intende “schiavo”, nel senso di “slavo, croato”. Deriva dal latino volgare “sclavus”, ossia “slavo” appunto. I veneziani chiamavano “S’ciavoni” o “Schiavoni” i marinai slavi della loro flotta e pure gli abitanti slavi delle isole e della Dalmazia, senza attribuire al termine l’accezione vagamente spregiativa, che ha assunto a Pola e a Trieste, dopo il 1945: “s’ciavo = schiavo, sottomesso” e pure in senso politico: “titino”.

Nella foto sotto - Pola, primi anni ’40, Giuseppe Cossa secondo a sinistra in piedi con altri pugili. Collezione Lucio Cossa.


Verso il 1947 c’è la fuga di Giuseppe Cossa in barca, l’approdo ad Ancona e il trasferimento al Centro raccolta profughi di Pescara, gestito del Comitato Centro Meridionale per la Venezia Giulia e Zara, sede provinciale di Pescara dove, il 26 giugno 1947, lo raggiunge la moglie Nella col figlio Lucio in fasce. Dal Crp di Pescara i tre profughi escono il 7 febbraio 1949 col biglietto ferroviario per Udine. Così firma e documenta il direttore del Crp Ennio Sarro sul retro del Certificato di profughi “costretti ad allontanarsi dalla residenza abituale” (CLN, Comitato per l’Assistenza per l’Esodo – Pola, Certificato di profugo n. di famiglia 8.232 di Cossa Giuseppe dell’11 gennaio 1947).

Giuseppe Silvano Cossa è un grande sportivo. Lavora al Genio Civile e partecipa ad una squadra di calcio amatoriale tra colleghi d’ufficio. I calciatori vengono immortalati in una fotografia al Campo Moretti di Udine, vicino al Tempio Ossario il 16 giugno 1951. Nel frattempo il figlio Lucio cresce e va a scuola, frequentando l’Istituto Tecnico Industriale “A. Malignani” di Udine e, per il servizio di naia, è arruolato in Marina. Lucio dal 1966 al 1983 è di stanza a Venezia e a La Spezia. Tra le altre, è imbarcato sulla nave “San Giorgio” e su “L’Aviere”. A La Spezia ha occasione di incontrare il nonno Giuseppe Cossa, fu Luigi, classe 1900, esule di Pola a Migliarina, quartiere spezzino. Brigadiere della Guardia di Finanza, il nonno Cossa era il custode del poligono di tiro di Pola. Il marinaio Lucio, infine, per star vicino ai due figli e alla moglie a Udine, entra nell’amministrazione dell’Ospedale militare di via Pracchiuso di Udine, dove termina la sua carriera militare.

Nella foto sotto - Locandina dell'Incontro di pugilato Parma-Pola 1941.

Signor Cossa, è mai ritornato a Pola? “Sì, verso il 1968 – ha concluso – ma mi son trovato così male che non ci sono tornato più”.


Nella foto sopra - Tessera di pugile di Giuseppe Cossa, 1941.


Altre fughe dall’Istria in barca

Certi esuli giuliano dalmati non amano che si dica: “fuggiti” dall’Istria, Fiume e Dalmazia. Eppure diverse testimonianze sono di gente che scappa a piedi per i boschi, o in barca, con le mitragliate dei titini alle spalle fin oltre gli anni ‘60. C’è questo e quello. Chi vien via con documenti regolari, in treno, in camion, o in nave, ma straziato di dolore. Altri sono proprio fuggiti. Di sicuro tutti vengono via dai titini a gambe levate.

Ecco un breve campionario. “La nostra terra era passata alla Jugoslavia – ha detto Narcisa D., nata a Lussingrande. – Nel 1949 io, mio marito Severino, i suoi fratelli Antonio e Giulio e i loro genitori Domenica e Giacomo facemmo domanda per l’opzione italiana [all’autorità iugoslava]. La domanda di trasferimento fu accettata solo per Giulio, che era cappellano e partì subito e per Domenica e Giacomo (partiti nel 1956). Io partii da Lussingrande con le figlie nel 1958 per raggiungere mio marito [che era già scappato]. Severino e Antonio scapparono il 1° maggio 1956 con una barca a remi. Sbarcarono a Fano, vicino a Senigallia, provincia di Ancona”. Il Giulio venuto via nel 1949 è Monsignore Giulio Vidulich (Lussinpiccolo, Pola 1927-Percoto, Udine 2003). Fu pievano di Porpetto (UD). Aveva studiato al seminario di Zara. Fu molto vicino agli esuli del Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD.


Nella immagine sopra - Parte posteriore del certificato di profugo dei Cossa di Pola. Da notare i timbri del Comitato per l’esodo di Pola del 26 febbraio 1947 e del Comitato Centro Meridionale per la Venezia Giulia e Zara, sede provinciale di Pescara, 1947-1949. Collezione Lucio Cossa.


Ascoltiamo ora una fonte marchigiana. A Numana (AN) “quando si era ragazzi – ha detto Mauro Milli – ricordo che qualcuno in paese diceva: So’ arrivati i slavi. Allora tutti si correva al porto per vedere ‘sti poveracci che arrivavano con delle barche a remi o con una piccola vela, erano italiani dell’Istria in fuga dalla paura degli iugoslavi di Tito”. A quali anni si riferisce? “Saranno stati il 1949-1950 – ha precisato il signor Milli – e almeno tre volte ho visto le piccole barche per 5-6 posti che saranno partite da Lussino e sono arrivate con la corrente fino a Numana, io personalmente non ho visto i profughi, perché i carabinieri li avevano già caricati sulle camionette per portarli al Centro raccolta profughi di Servigliano, allora in provincia di Ascoli Piceno e oggi in quella di Fermo, ma tutti in paese si sapeva di quegli arrivi”. Ricorda qualcosa d’altro? “Io l’ho saputo più tardi che erano italiani in fuga – ha concluso Milli – a scuola non si studiavano ‘ste cose e forse perché mio padre è di Sgonico, vicino a Trieste, me ne sono interessato. Poco tempo fa da certi subacquei austriaci sono stati trovati quattro teschi con un foro in testa al largo dell’Isola di Lussino, devono essere stati di altri fuggitivi bloccati dalle motovedette iugoslave, i titini li hanno fatti fuori col colpo alla nuca e gettati mare”.

Nella foto sotto - Biglietto manoscritto di Guseppe Cossa, anni 1950-1960. Collezione Lucio Cossa.


“Mio fradel Eligio Villio – ha detto Armida Villio, nata a Fasana, vicino a Pola – el xe scampado con altri sedici ragazzi, tuti zoveni”. Com’è successo? “Xe partidi da Fasana con due barche a motor e i xe finidi fin sul delta del Po – precisa la signora Villio – jera marzo e fazeva fredo, me ricordo che i paroni de una barca jera i Barattin e quei de la seconda barca jera i Chersin”.

La fuga dei 17 giovani di Fasana termina in provincia di Rovigo e poi si sono fermati là? “No, la zente del posto diseva che i jera tuti fascisti e no i li voleva – ha affermato la signora Armida – così xe stadi ciapadi dentro da le munighe e dopo xe rivadi a Grado, mio fradel Eligio el xe andà a studiar a Genova al convitto Cristoforo Colombo, più tardi, dopo esserse sposado con una signorina de Cherso, el mori a Trieste nel 1985”.

La vicenda non finisce solo così, perché il padre di Eligio e Armida era rimasto a Fasana. “Durante la fuga delle due barche el pare el stava atento che no vignissi nissun a scoprirli – ha aggiunto la testimone – il giorno dopo i titini, non vedendo le barche in porto, i fa visita a ogni famiglia dei 17 scampadi e il sior Chersin, pare de tre de lori, el dise che no saveva dove che jera andadi e li spetava per tuta la sera, mostrando la polenta nei piati per i tre fioi”.

Ma il babbo Villio e i paesani sapevano tutto, non è vero? “In realtà un fradel de mia mama in una trattoria nel sotoscala gaveva scoltado la radio – ha spiegato la signora Armida – el gaveva savudo de due barche de fasanesi finide sul delta del Po, ma tuti i parenti i fazeva finta de no saver niente coi titini”.



Fonti orali

Ringrazio molto e ricordo le persone qui elencate, per le gentili testimonianze rilasciate. Le interviste (int.) sono state effettuate da Elio Varutti nelle località indicate, con taccuino, penna e macchina fotografica, se non altrimenti indicato.

- Lucio Cossa, Trieste 1947, vive a Pasian di Prato (UD), int. del 17 febbraio 2023 e telefonate del 25 febbraio 2023.

- Narcisa D. (Lussingrande, Pola 1928), int. a Percoto di Pavia di Udine (UD), 1° giugno 2005, a cura di Monica C., allieva, con la guida della professoressa Elisabetta Marioni, Istituto professionale per il commercio “B. Stringher” di Udine.

- Mauro Milli, Numana (AN) 1944, int. a Numana del 1° giugno 2019, in presenza di Lucilla Smoquina e Daniela Conighi, oriunde di Fiume.

- Armida Villio, Fasana (Pola) 1933, int. a Grado (GO) del 30 agosto 2018. Si ringrazia, per la collaborazione riservata, Alda Devescovi, nata a Rovigno ed esule a Grado.

Collezione privata – Lucio Cossa, manoscritti di Giuseppe Silvano Cossa, fotografie, tessere ANVGD, tessera Libero Comune di Pola in Esilio, cimeli vari, pagine di giornale, certificati anagrafici e di profuganza, 1933-2006.

Bibliografia

- “Album scolastico”, «L’Arena di Pola» del 1° settembre 1959, p. 4.

- Roberto Bruno, Elisabetta Marioni, Giancarlo Martina e Elio Varutti, Ospiti di gente varia. Cosacchi, esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di Udine 1943-1960, Udine, Istituto Statale d’Istruzione Superiore “B. Stringher”, 2015.

- “Ragionieri nel 1941-42”, «L’Arena di Pola» del 21 luglio 1959, p. 4.

- Elio Varutti, Il campo profughi di via Pradamano e l’associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo 1945-2007, Udine, Comitato di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, 2007.

- E. Varutti, Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia esuli in Friuli 1943-1960. Testimonianze di profughi giuliano dalmati a Udine e dintorni, Udine, Provincia di Udine / Provincie di Udin, 2017. Disponibile anche nel web dal 2018.


Nella foto sopra – Lucio Cossa intervistato a Pasian di Prato (UD). Foto di Elio Varutti.

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Progetto di Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Lettori: Sergio Satti, Bruno Bonetti e Rosalba Meneghini. Aderiscono il Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e l’ANVGD di Arezzo. Ricerche e Networking di Maria Iole Furlan e E. Varutti. Grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine. Si ringrazia per la collaborazione riservata Mauro Cossa.

Copertina: Pola 1946, Giuseppe Cossa e Nella Ispiro. Foto di Elio Varutti. Altre fotografie dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web: https://anvgdud.it/


Nella foto sopra – Libretto personale di volo del pilota d’aereo Giuseppe Cossa, 1942. Collezione Lucio Cossa.



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