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Guardiani friulani nel gulag titino di Borovnica, Slovenia, 1945-1946

Aggiornamento: 18 dic 2022

È successo anche questo. È stato Gianni Barral a scriverlo nel suo libro edito nel 2007. C’erano pure alcuni friulani tra i carcerieri del campo di concentramento jugoslavo di Borovnica per detenere militari e civili italiani. Il gulag titino distava 24 chilometri da Lubiana. Troviamo Albino Gentil, un quarantenne di Udine, originario della Slavia friulana. Si mette in mostra per aver sparato a una donna che, dalla strada, si sbracciava per salutare il marito internato, ferendola a una caviglia (vedi: Barral, pag. 169). Durante gli spostamenti dal lager ai campi di lavoro forzato era vietato comunicare, soprattutto con i disperati familiari giunti da varie parti della Venezia Giulia, ossia da Gorizia, Trieste, Pola e Fiume a cercare notizie dei loro congiunti arrestati dai partigiani. Non a caso Barral lo descrive come “un animo malignetto e stupido insieme”. C’è poi il sedicenne Guido Bera, di Taipana (UD) [forse è Berra, NdR]. È il più giovane del reparto, già appartenente alla Brigata Garibaldi-Natisone (Barral, pag. 172). Si ricorda che la Divisione “Garibaldi-Natisone” è stata una formazione partigiana comunista attiva durante la Resistenza in Friuli, ma alla fine del 1944, sottomessasi ai comandi del IX Corpus jugoslavo, che la spostò all’interno per poter meglio annettere più territori della Venezia Giulia al regime di Tito.



Tra i vari aguzzini di Borovnica c’è Felice Felc, delle parti di Cormons (GO) [forse è: Felcaro, NdR]. Fa il cuoco, perciò sa bene quale era il misero rancio dei detenuti. Barral lo segna tuttavia tra le persone “brave” (Barral, p. 199). Il suo nominativo compare nei Ruoli matricolari di naia all’Archivio di Stato di Gorizia. C’è Janko Manfreda, di Gorizia. Janko è diminutivo di Giovanni. È il commissario politico dei partigiani che effettuava gli interrogatori dei prigionieri italiani a Tolmino (Barral, p. 186), ex provincia di Gorizia, nel dopoguerra non disdegnava di fare il carceriere nelle baracche del campo di concentramento.

Secondo l’Unione degli Istriani a Borovnica nel 1945 c’era un altro aguzzino nativo della provincia di Udine. Era il tale Giovanni Sestan, di Cave del Predil, frazione del comune di Tarvisio (UD).

Sempre Barral ricorda che tanti altri guardiani sono della parte della Venezia Giulia (Caporetto, Valle dell’Isonzo, periferia est di Gorizia, zona del Collio) che, dopo il 1947, passa sotto il controllo della Jugoslavia. Alcuni sono istriani, altri triestini. Insomma ce n’è per tutti. C’erano addirittura due sovietici tra gli zelanti guardiani di Borovnica. Erano tali Abosov e Askilošvili. Vedi Barral, pp. 173-179. Del resto, perfino a Udine, dopo il 1945, bazzicavano vari sovietici vestiti di scuro. Nel dopoguerra e negli anni ‘50 è attivo a Udine, in Via Martignacco, l’ufficio di una missione russa, con almeno quattro spie dotate di una autovettura nera, con competenze fino a Milano; dovevano essi ricercare tutti i cittadini sovietici ancora sparsi in Friuli e dintorni, come i reduci partigiani non rientrati, o i sopravvissuti cosacchi, o gli imboscati cobelligeranti dei nazisti. Non mancarono le sparizioni, gli avvelenamenti o le uccisioni plateali.

Sono i servizi segreti di Tito, OZNA, a far chiudere il campo dell’orrore sito nei pressi di Lubiana, mandando a casa alcuni dei detenuti dopo il lavaggio del cervello sull’antifascismo, mentre quelli non rieducati per benino vengono traferiti in altri gulag a finir la pena. Come ha raccontato Gianluigi Covatta, figlio di un militare detenuto prima di essere reclusi al Campo di concentramento di Vršac, in Voivodina, molti militari italiani erano imprigionati a Borovnica. Foto sotto - Un deportato di Borovnica al suo rientro in Italia, per uno scambio di prigonieri. Diversi di loro furono ricoverati all’Ospedale di Udine. Per la diffusione nel blog presente si ringrazia e si veda il post in Facebook del 6 maggio 2020 della Unione degli Istriani.



Come era il gulag di Borovnica? - Era peggio di un lager nazista. Lì furono internati dagli jugoslavi fra il mese di maggio del 1945 e agosto del 1946 tre tipi di prigionieri italiani. Alcune migliaia di militari arrestati nel periodo di occupazione della Venezia Giulia da parte dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia. Poi c’erano diverse centinaia di ex Internati Militari Italiani già reclusi dai nazisti e intercettati dagli jugoslavi mentre tentavano di tornare a casa. C’erano, infine, certi civili italiani delle terre istriane e dalmate. Gli storici sloveni definiscono quello di Borovnica come il peggiore dei campi d’internamento jugoslavi, come si legge nelle enciclopedie del web.

Le stime sui deportati, molto generiche, vanno dai 5.000 ai 10.000 individui. Quelle sugli scomparsi dai 3.000 ai 5.000. Gli elenchi furono distrutti dall’OZNA, la polizia segreta jugoslava, per ordine di Josip Broz Tito. La maggioranza degli internati in quel gulag fu torturata e trucidata, i cadaveri furono poi occultati nelle foibe o nelle fosse comuni, presso il Cimitero del paese o presso il Campo sportivo (Barral, p. 214). Oggi non c’è nemmeno un segno, o una targa storica sul sito dove c’erano le baracche dove morirono tutti quegli italiani. Foto sotto - Cartolina in franchigia della Demokratska Federativa Jugoslavija scritta il 15 novembre 1945 dal Campo di concentramento di Borovnica (Lubiana) e diretta a Sammarco (CZ) per mezzo della Croce rossa di Belgrado.



Le torture – La principale tortura inflitta agli sventurati era quella del palo col filo di ferro davanti ai detenuti radunati. Era detta anche la crocifissione. Il punito veniva appeso a mezzo metro dal suolo con la schiena dietro il palo mediante il fil di ferro che gli passava sotto le ascelle. Veniva lasciato lì per 2-3 ore. Quando lo tiravano giù, il malcapitato non era più in grado di muoversi, avendo profonde piaghe alle braccia, provocate dal fil di ferro, che apriva le carni come un coltello (Barral, p. 190).

Oltre ai pestaggi di ogni sorta con scuse qualsiasi e alle fucilazioni facili, c’era il trascinamento. Ogni tortura provocava sistematicamente una lenta morte atroce di sofferenze. Il trascinamento consisteva nel far spostare massi del peso di oltre 2 quintali a persone denutrite e scheletriche, del peso di 30 kg circa.

Fonti orali e ringraziamenti - Intervista a cura di Elio Varutti con penna, taccuino e macchina fotografica. Si ringrazia Gianluigi Covatta, Fiume 1943, int. del 17, 25 febbraio e 1° aprile 2022 effettuata a Udine, in presenza della moglie Luisa Petricig.

Riguardo alle spie sovietiche operanti a Udine l’A. è grato a J.C. per le notizie riferite il 27.11.2021. Oltre agli operatori e alla direzione degli Archivi citati e dei siti web menzionati, si ringrazia l’architetto Franco Pischiutti (ANVGD di Udine) per la collaborazione alla ricerca.

Collezione privata - Collezione Covatta, di Udine; si ringrazia Gianluigi Covatta per aver messo a disposizione del ricercatore il disegno di copertina, opera realizzata nel Campo di concentramento di Vršac (Jugoslavia).

Foto sotto - Copertina de “La Rivista Dalmatica” del gennaio 2022, edizione speciale sul Campo di Borovnica e l’Ospedale di Skofja Loka ambedue denominati della morte.


Riferimenti bibliografici

- Archivio di Stato di Gorizia, Ruoli matricolari (1901-1909).

- Gianni Barral, Borovnica ’45 al confine orientale d’Italia. Memorie di un ufficiale italiano, Milano, Paoline, 2.a edizione, 2007.

- Mauro Tonino, Borovnica, lager jugoslavo per migliaia di italiani, senza una croce. Come alla foiba di Tarnova, a cura di E. Varutti et alii, on line dal 19 agosto 2019 su anvgdcomitatoprovincialediudine.wordpress.com

- E. Varutti, Tenente Raffaele Covatta nel gulag titino di Vršac, in Vojvodina, 1945-1947. La lista dei reclusi, on line dal 12 aprile 2022 su evarutti.wixsite.com

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Note – Progetto e attività di ricerca di: Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Mauro Tonino, Bruno Bonetti, Annalisa Vucusa (ANVGD di Udine), Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo) e la professoressa Paola Quargnolo, di Udine. Copertina: Disegno satirico al gulag titino di Verscrazzo / Vršac (Jugoslavia), firmato da: Ergolo, grafite su carta, 1946. La scritta dice: “Fra Magna da Schi”, forse per indicare il personaggio in basso con berretto a cappuccio. Possibile traduzione: “Fratello Mangiare da Schi-fo”. Coll. Gianluigi Covatta.

Adesioni al progetto: ANVGD di Arezzo e Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine. Fotografie di Elio Varutti, collezione di Gianluigi Covatta, Udine, da altri siti web e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web: https://anvgdud.it/

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